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Questione di Karma - Recensione

08/03/2017 | Recensioni |
Questione di Karma - Recensione

Non inganni la nuova vita data alla parola “karma” dalla vittoria sanremese del brano di Francesco Gabbani perché, stando alle dichiarazioni del regista Edoardo Falcone, la lavorazione del film Questione di Karma risale a circa un anno fa. Scherzi del caso o del destino, fatto sta che ora il termine (ritenuto dal regista, al tempo dell’idea del film, originale o comunque inconsueto) ricorre prepotentemente nel nostro quotidiano, almeno in questi giorni in cui l’orecchiabile canzoncina “Occidentali’s Karma” risuona un po’ ovunque. 
Secondo la definizione del dizionario Treccani, la parola ‘karma’ indica, nella religione e nella filosofia indiana, ‘il frutto delle azioni compiute da ogni essere vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente, sia sulle gioie e dolori nel corso di essa’. In sintesi una specie di sinonimo di destino, ‘concepito però non come forza arcana, ma come insieme di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato’.
Ed è proprio questo l’assunto alla base di Questione di Karma, ovvero l’idea che sia possibile poter sistemare le cose lasciate in sospeso con una persona che non c’è più, riavvolgere il nastro della memoria, riempire i vuoti che sentiamo dentro di noi. Anche e soprattutto grazie alla reincarnazione di qualcuno che abbiamo tanto amato.
La commedia, come ha sottolineato Falcone, nasce da quel costante senso di perdita con il quale tutti  dobbiamo fare i conti. Il senso di perdita e di vuoto è quello che accompagna da sempre Giacomo (Fabio De Luigi), stravagante erede di una dinastia di industriali. L’uomo, ormai ultraquarantenne, ha avuto la vita segnata dalla tragedia della perdita del padre che si è suicidato quando lui aveva solo quattro anni. Giacomo è un uomo molto sensibile, timido e riservato, riempie il vuoto lasciato dalla morte del genitore con interessi particolari: studia filosofie orientali, arti marziali e insoliti strumenti musicali. Sogna da sempre di incontrare suo padre reincarnato in un altro uomo, fino all’incontro con un esoterista francese autore di un libro in cui sosteneva di poter individuare con esattezza la persona in cui qualcuno si è reincarnato. Messo alle strette, l’esoterista gli fornisce un nome e un cognome: Mario Pitagora (Elio Germano), l’uomo in cui si sarebbe reincarnato suo padre. Giacomo lo rintraccia: Mario è un uomo in grandi difficoltà economiche, vive di piccoli espedienti ed è indebitato fino al collo. Dall’incontro tra due persone così diverse nascerà un corto circuito da cui nascerà qualcosa di importante, qualcosa che porterà entrambi a modificare le loro vite.

Due tipi umani molto diversi, un quarantenne solitario, buono e ingenuo, che ha interessi particolari (filosofia orientale, esoterismo, arti marziali) e che ha sviluppato una conoscenza del mondo attraverso i libri e non con la vita vissuta, e un trentacinquenne romano senza qualità particolari, furbo, cinico, un uomo che costruisce i suoi affetti sulla base del denaro, cerca una vita da uomo d’affari senza mai riuscirci, accumula fallimenti ed è inseguito regolarmente dai creditori.
Due opposti speculari, due modelli di vita diversissimi, ancora una volta una coppia di ‘maschere’ diverse, come nella precedente commedia di Falcone, Se Dio vuole.
Come già Gassman-Giallini (un prete originale e ‘moderno’ e un cardiochirurgo ateo, arrogante e pieno di sé), anche qui la coppia, altrettanto indovinata, De Luigi-Germano fa della diversità un motivo di arricchimento.
Riprendendo per certi versi uno schema già trattato, Falcone torna, come nel film precedente, su temi religiosi e universali, anche se questa volta va al fondo delle radici delle antiche tradizioni orientali. Già, perché sembra che nessuno entri per caso nelle nostre vite, perché ognuno di noi ha necessità di trasformarsi per continuare a vivere. L’eterno bisogno di amare e sentirsi amati, questo è il motore che ci fa andare avanti, questo è quello che muove le esistenze dei due protagonisti, un’anima pura e un opportunista che scoprono, grazie al loro incontro, di poter ‘rinascere’ e diventare migliori.
La commedia è ben scritta (non c’è l’ombra di volgarità e questo è già un piccolo vanto) e ben recitata, scorre via leggera e animata da una coppia di protagonisti che funziona.
Se da un lato Fabio De Luigi, avvezzo a ruoli brillanti e spesso esuberanti, ha la possibilità di aggiungere al carnet delle sue interpretazioni, un personaggio più misurato del solito con l’aggiunta di sfumature lunari, è il ruolo di Elio Germano ad essere il maggior dispensatore di sorrisi. Diretto erede di tanti classici ‘cialtroni’ della commedia all’italiana, Mario Pitagora è una figura tipica del cinema nostrano. Lo stesso attore ha dichiarato le sue fonti d’ispirazione in alcuni personaggi interpretati da Alberto Sordi, Gigi Proietti o Carlo Verdone. Il topos del romano cialtrone che finge di essere uomo di mondo e d’affari che in realtà vive di espedienti è una maschera eterna qui arricchita di sfaccettature inedite.
Anche se il finale è piuttosto prevedibile (pur evitando al Pitagora la favola di una redenzione impossibile), ha il merito di illuminare di luce nuova il tema del rapporto col denaro: tra chi non lo insegue (perché lo ha) come Giacomo (rinchiudendosi nel suo personale ‘karma’), chi lo cerca affannosamente come Mario (tra truffe e creditori), quella che vince è Ginevra, sorella di Giacomo, che il denaro lo ha ma sa gestirlo bene, pur senza essere una donna d’affari fredda e senza scrupoli.
Le altre presenze illustri del cast, da una Stefania Sandrelli svanita ed eterea mamma alto borghese, a un Eros Pagni (genio del teatro prestato al cinema ‘leggero’) perfetto patrigno dalla parlata solenne e tonante, a Isabella Ragonese donna in carriera con l’anima, sono il valore aggiunto a una commedia piacevole, in bilico tra risata e riflessione, reale e surreale, bisogni spirituali e necessità materiali.

Elena Bartoni     

 


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