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Le cose che verranno - Recensione

19/04/2017 | Recensioni |
Le cose che verranno - Recensione

La vita, gli eventi e le infinite possibilità che abbiamo per ricominciare.
Le cose che verranno mostra sul grande schermo una grande verità: la vita di una persona è presa tra due tensioni, libertà e destino. Come credere alla libertà e al destino allo stesso tempo?
A proposito del film, la regista ha parlato di “tensione tra la convinzione che bisogna accettare di lasciarsi condurre dagli eventi e la possibilità di autodeterminarsi all’interno di questo movimento, una tensione che noi non possiamo controllare”.
Le cose che verranno segue, come altri film della regista francese Mia Hansen Løve, la traiettoria di un personaggio esemplare.
Nathalie insegna filosofia e ama profondamente il suo lavoro. Per lei infatti la filosofia non è solo un lavoro ma un vero e proprio stile di vita. Un tempo la donna era fervente sostenitrice di idee rivoluzionarie ma ora ha convertito l’idealismo giovanile nell’ambizione di insegnare ai giovani di pensare con le proprie teste. Durante le sue lezioni non esita a proporre ai suoi studenti testi filosofici che stimolino il confronto e la discussione. Nathalie è sposata con Heinz, ha due figli grandi e una madre anziana e fragile che necessita di continue attenzioni. La donna divide le sue giornate tra la famiglia e la sua dedizione al pensiero filosofico. Un giorno improvvisamente il suo mondo viene stravolto quando il marito le confessa di volerla lasciare per un’altra donna. Poco tempo dopo la madre, ricoverata suo malgrado in una triste casa di riposo, muore. I figli, ormai cresciuti, prendono le loro strade e Nathalie si ritrova a confrontarsi con un’inaspettata libertà.
Attraverso il rapporto di sincera amicizia e complicità intellettuale con un suo ex allievo, Fabien, la donna deve reinventarsi una nuova vita. In compagnia di una gatta nera ereditata dalla madre, Pandora, Nathalie ritrova se stessa e riprende in mano la sua vita.

Il pensiero, il pensiero del desiderio e quello della libertà.
Il destino di una donna e la sua forza indissociabile dal suo rapporto con le idee.
La vera novità de Le cose che verranno (in originale L’avenir) risiede proprio qui: nella forza del pensiero e delle idee. Un tema di difficile resa e perciò poco utilizzato al cinema.
La protagonista della storia è un ‘tipo umano’ esemplare: una professoressa di filosofia appassionata e assorbita dal suo lavoro a tal punto che la relazione con i libri e con il pensiero è la sua priorità assoluta. Nathalie e suo marito (anche lui filosofo) hanno un rapporto vivo, definito dalla regista “quasi biologico” con i libri che possiedono, quasi che essi fossero la colonna vertebrale della loro esistenza. Una ricca biblioteca è il luogo centrale della loro casa e del film: una biblioteca “vera”, “viva”, dal cuore pulsante, dove convivono edizioni diverse e multicolorate.
Per i libri Nathalie e il marito discutono quando si separano, a causa di libri restituiti si incontrano di nuovo. Per le parole scritte nei libri di filosofia Nathalie si appassiona in classe con i suoi allievi. Con le parole scritte nei libri da lei curati per una casa editrice arrotonda il suo stipendio.
Tre brani dai contenuti importanti vengono letti dalla protagonista ai suoi allievi, due di Jean-Jacques Rousseau e uno di Blaise Pascal. E non è un caso che il fulcro della frase di Rosseau letta nel finale da Nathalie risieda proprio nel desiderio della felicità che è più forte del raggiungimento di essa e vero motore della vita di ognuno di noi.
I tratti autobiografici del film (la madre della regista è insegnante di filosofia) sono più che evidenti: anche la regista ha vissuto la separazione dei genitori (una coppia legata da un grande complicità intellettuale come Nathalie e suo marito) e ha fatto tesoro della grande energia di sua mamma.
Il percorso esemplare di Nathalie, il suo rapporto essenziale con la natura, intesa come strumento di connessione tra l’idealismo del pensiero e gli avvenimenti della realtà è il nucleo forte del racconto. Come ha sottolineato la regista “La natura è un’alleata della protagonista. Sostituisce quello che in una sceneggiatura classica si sarebbe manifestato con l’entrata in scena di un nuovo amore. Quello che viene mostrato è invece un concetto più ampio, è l’amore per la vita”.
La protagonista trova vera forza nella filosofia, ma la conquista di una difficile libertà avviene anche e soprattutto nella natura, con la natura, per mezzo della natura.
La prova di Isabelle Huppert è come al solito immensa, il ruolo di Nathalie sembra cucito addosso a lei, una donna borghese che sembra subire passivamente quello che le accade e che è in contrasto con quello che non smette di insegnare ai suoi allievi: libertà e verità.
Dopo diverse storie ‘giovani’, basate sull’energia dell’amore e le passioni dell’adolescenza, Mia Hansen-Løve firma un’opera convincente (giustamente premiata con l’Orso d’Argento per la migliore regia al Festival del Cinema di Berlino del 2016), approdando all’età adulta e alla consapevolezza della maturità, un’età che deve affrontare gli imprevisti che portano la vita a prendere strade decisamente inaspettate.
Desiderio e speranza sono la nostra energia, due forze irrefrenabili, quanto il tempo è invincibile, quando un tempo futuro cambia forma, diventando qualcosa di diverso da quello immaginato.
Una strenua lotta tra forze, una continua ricerca di equilibrio, tutto questo è la vita, ma vita è anche e soprattutto un’eterna possibilità di ricominciare, guardando avanti alle cose che verranno.

Elena Bartoni

 


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