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Pasolini – Recensione

C’è un po’, anzi parecchia Italia, nella nuova fatica di Abel Ferrara che decide con la sua ultima pellicola  di omaggiare Pasolini con un film omonimo che si concentra, però solo nelle ultime 24 ore del grande cineasta nostrano.

Siamo, infatti, nel 2 novembre 1975, un anno in cui le opere del maestro scandalizzano e turbano, continuamente perseguitate dalla censura. C’è chi lo ama, ma anche chi lo odia e il giorno della sua morte Pasolini lo passa con la madre e i suoi amici più cari, in un affresco che Ferrara rende intimo, che travalica le opere stesse per presentarci l’uomo in tutte le sue sfaccettature, anche quelle che la notte lo portano a cercare avventure a volte, come l’ultima, fatali.

C’erano molti modi per fare un film su Pasolini e Abel Ferrara sceglie quello peggiore, annoiando lo spettatore in un fil scuro, più vicini al documentario che ad un film biografico.

Proprio per questo motivo, si ha la sensazione che il tutto sarebbe riuscito meglio, se proprio avesse deciso per un approccio documentaristico, piuttosto che quello puramente filmico.

Ferrara parte dal presupposto che il suo pubblico sia composto da persone che conoscono perfettamente la vita di Pasolini quanto i suoi film, trovandosi così immersi in un mondo confuso fatto di volti, situazioni poco approfondite e, soprattutto, troppe parole.

Diaoghi pseudo intellettuali, fanno perdere completamente l’attenzione dello spettatore che si perde in mezzo a disquisizioni di qualsiasi genere.
 
Tutto ciò sarebbe sopportabile ed accettabile se, almeno, si compensasse dal punto di vista emotivo. Invece il Pasolini di Ferrara è freddo, statico, un compitino svolto con diligenza, ma che non da assolutamente niente allo spettatore. Si rimane impassibili davanti a questa glaciale e scura messa in scena, che sembra filtrata sempre dagli occhiali oscurati di Pasolini.

Anche la decisione di raccontare solo le ultime 24 ore dell’autore, non aiuta a costruire una figura a 360 gradi che dovrebbe parlare a tutti, invece finisce per rivolgersi solo ai cultori di Pasolini, tagliando fuori la maggior parte dei giovani.

Sembra come se la vita del cineasta diventasse importante solo alla luce del misterioso omicidio, non permettendo però allo spettatore di costruirsi una propria opinione che lo porti a capire i possibili motivi della sua fine.

Con Pasolini, Ferrara ci inonda di parole ridondanti che faticano ad entrare dentro dimenticandole esattamente nel momento dopo in cui vengono dette.

Sara Prian

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