Lucy – Recensione
L’evoluzione, l’importanza del sapere, il principio di immortalità e quasi trascendenza, questi i temi portati all’attenzione del pubblico dal regista e sceneggiatore francese, Luc Besson, che con Lucy, affidandosi ad una star femminile del calibro della Johansson, ha però deluso le aspettative. Il difetto più grande del film è dato proprio dalla troppa carne al fuoco, l’ora e mezza dedicata ad un argomento così vasto e filosofico, condito da scene d’azione di violenza gratuita, sembrano infatti snaturare i concetti profondi alla base del film, a cui non resta che affidarsi interamente alla sua potenza visiva.
La protagonista è Lucy (Scarlett Johansson), una studentessa che vive a Taiwan. Per un caso fortuito, si trova costretta a consegnare una valigetta, dal contenuto misterioso, a Jang (Choi Min-sik), un criminale coreano. Quest’ultimo, una volta verificato ciò che gli è stato portato, sequestra la ragazza e le fa inserire nel corpo uno dei pacchetti contenuti nella 24 ore, all’interno c’è una nuova sostanza stupefacente e lei ne diventa una trasportatrice passiva. Il pacchetto però si rompe e il prodotto chimico viene assorbito dal suo corpo, il quale progressivamente sviluppa una capacità di conoscenza e di potere inimmaginabili. Solamente il professor Norman (Morgan Freeman) sarà in grado di aiutarla.
Come già dimostrato in Nikita (1990), Léon (1994) e nel passato inosservato, The Lady (2011), Besson ama porre al centro delle sue pellicole la figura femminile, riservandole un ruolo di apparente fragilità, come se avesse una corazza che però alla fine toglie, per rivelare la sua vera essenza, quella di personaggio forte, coraggioso e senza scrupoli. Lucy ne è l’ennesimo esempio.
Il personaggio interpretato dalla Johansson all’inizio appare come una donna debole, impaurita ed ingenua, dopo esserle stata somministrata la droga che le modifica per intero, corpo, anima e mente, si dimostrerà invece forte, intrepida ed incapace di provare emozioni, il tutto in un mondo dominato da soli uomini, quei ‘’mostri’’ che combatte fino alla fine.
Ed è proprio il caso di dire, ‘’lost in translation’’, ebbene sì, perché il personaggio di Lucy, durante il corso del film evolve, a tal punto da trasportarsi fisicamente da un luogo all’altro, da una sembianza all’altra e rafforzando notevolmente il proprio carattere, fino a perdersi e perdere la sua essenza. Il tutto lo si deve esclusivamente a quella sostanza che le viene data, in grado di sviluppare le potenzialità dell’essere umano al punto da fargli usare il restante 90% delle facoltà celebrali normalmente non utilizzate.
Molte sono le similitudini tra il personaggio di Lucy e quello di Nikita, ma è proprio il caso di dire che Besson, in questa sua ultima fatica, sembra dar prova di aver perso anche se stesso. Smarrito nella superficialità delle scene d’azione, degli effetti speciali e nel voler dare per forza di cose, troppa importanza alla sua attrice protagonista, confeziona una pellicola priva di una narrazione reale, che si rivela invece caotica e complessa, a tal punto da far perdere nei meandri del sapere e della chimica, anche lo spettatore.
Ecco quindi che nel suo tentativo di dare una propria interpretazione al senso della vita, Besson finisce per mettere troppa carne al fuoco, storpiando la profondità concettuale della pellicola, aggiungendoci elementi di entertainment commerciale e violenza, che poco avrebbero da spartire con la filosofia, in un mix che di certo non annoia, ma che fa rimpiangere le eroine dei suoi precedenti film.
Alice Bianco