Annabelle – Recensione
Storia di orrori e di amore negli USA degli anni ’70. John, novello sposo e futuro papà, regala alla moglie Mia una preziosa bambola vestita di bianco. La notte stessa una sanguinaria setta, reduce da un massacro, si introduce nella loro abitazione e li aggredisce brutalmente. Compie inoltre un oscuro rituale satanico, dal quale la bambola acquisisce una sorta di volontà propria. Stiamo chiaramente parlando della lugubre e letale bambola Annabelle, custodita dai coniugi Warren nel riuscito horror “The Conjuring” (2013) di James Wan. Quest’ultimo ha solo prodotto questo prequel ed ha dunque lasciato il compito di dirigerlo a John R. Leonetti, suo abituale direttore della fotografia nonchè a sua volta regista (a dir poco) saltuario. Il trailer faceva immaginare un altro lungometraggio tutto brividi e fiato sospeso, giocato su un infallibile campionario di paure ancestrali: buio, ignoto, violazione del proprio spazio vitale da parte di sconosciuti e così via. Anche stavolta i trailer, notoriamente meglio confezionati rispetto al prodotto che reclamizzano, dicono solo parzialmente il vero. Leonetti non è privo di talento nell’incuriosire e terrorizzare, anzi regala spaventi da cineteca in alcune sequenze ai confini del magistrale. Tra di esse vanno citati il prologo e la scena dell’ascensore, senza trascurare un sussulto nello stile degli “Insidious” di Wan, ma realizzato con maggiore senso dello shock visivo. Il guaio è che si tratta di segmenti isolati nel complesso narrativo, mentre come sappiamo la tenuta di un intero film è ben altra faccenda. Dovendo pensare a un modello siamo infatti dalle parti di Insidious più che di The Conjuring, e non è assolutamente una considerazione positiva data la conseguente, pretenziosa incostistenza. Effettistico ed artificioso, disperde il potenziale dello spunto di partenza in superflue divagazioni sentimentali (abbastanza sdolcinate a dire il vero). Cerca di mischiare angoscia e commozione, il mostruoso con il romanticismo, senza imporre né l’uno né l’altro come registro di base nell’intreccio. Nulla di diverso da troppi cosiddetti horror contemporanei, “La madre” in primis. “Annabelle” si accende qui e là ma più spesso si affievolisce ed abusa di facili espedienti (i rumori assordanti, i falsi allarmi), fino a spegnersi in una discutibile conclusione dal mordente pressoché nullo. Oltretutto, nonostante l’evidente sforzo nel puntare sull’immaginazione dello spettatore, la stessa bambola è sovraesposta sullo schermo e perde parecchio in quanto a potenziale disturbante ed evocativo. I più impressionabili ne rimangano, in ogni caso, lontani.