Sin City: Una donna per cui uccidere – Recensione
Tornano Robert Rodriguez e Frank Miller a raccontarci della città del peccato, con Sin City – Una donna per cui uccidere siamo davanti ad un pellicola che non riesce a trovare un equilibrio dal punto di vista narrativo, ma che ci regala un buonissimo, per non dire finalmente ottimo, uso del 3D ed una storia centrale accattivante, cinica, spietata, glaciale come gli occhi impenetrabili di Eva Green che, manco a dirlo, è in grande spolvero nel ruolo della ultimate femme fatale.
Johnny (Joseph Gordon Levitt) decide di sfidare più e più volte il senatore Roark, giocando con le sue minacce. Nancy (Jessica Alba) è pronta a vendicare la vita del suo amato Hartigan (Bruce Willis) con l’aiuto dell’onnipresente Marv (Mickey Rourke). Dwight (Josh Brolin), dopo anni, rivede l’amore della sua vita, Ava Lord (Eva Green). La donna, pentita di tutte le pene d’amore che gli ha fatto patire, gli chiede aiuto per liberarsi dai continui soprusi del marito. Ma sarà davvero tutto oro quello che luccica?
C’era una volta Sin City e c’è ancora. Sì perché questo secondo capitolo ritorna un po’ indietro rispetto ad alcuni fatti narrati nel primo capitolo, mentre si fa vero e proprio sequel per le vicende che riguardano Nancy-Johnny-Rourke.
Ed è proprio su questo punto che troviamo i difetti maggiori della pellicola. C’è, infatti, un mancato equilibrio e una mancata coesione tra le varie parti narrate.
Non c’erano dubbi che, sottotitolandosi “Una donna per cui uccidere”, fosse proprio la sequenza con Dwight e Ava Lord quella centrale, ma quello che non ci si aspettava è che le altre due parti finissero per essere così marginali, ai limite dell’abbozzo.
La sensazione che si ha è che, probabilmente, le storie funzionino bene o benissimo se guardate come mediometraggi a se’ e che perdano la loro forza nel momento in cui si guarda l’opera in maniera complessiva.
Ma se le sequenze con Jessica Alba e Joseph Gordon-Levitt fungono, a questo punto, da cornice, da inquadramento narrativo, il vero quadro con le pennellate migliori lo si ha nella sequenza Green-Brolin. E’ qui che Rodriguez tira fuori il meglio di se’, non solo dal punto di vista visivo e cromatico (davvero sorprendente), ma anche dal punto di vista narrativo che, fino a quel punto, era stato il punto debole della pellicola.
Sarà la capacità di Eva Green di focalizzare tutta l’attenzione su di se’ e sul suo magnetico sguardo regalandoci un personaggio, una vedova nera, che sembra direttamente uscito dai dagli anni ’40, sarà perché con questo spezzone Rodriguez omaggia il cinema noir attraverso un dipinto in movimento dove anche le forzature trovano la loro ragione di essere, ma il costone centrale della pellicola risulta il più solido e valido.
Concentrare, però, tutta l’attenzione solo su questa parte, porta lo stesso Rodriguez a perdere il filo del discorso quando si deve tornare a parlare di Nancy o di Johnny, conducendo anche lo spettatore ad un momento di smarrimento, come se, finita l’apoteosi Green-Brolin, anche lui perfetto ne la bestia-cucciolo, il resto fosse superfluo, una piccola appendice alle grandi storie raccontate nel primo capitolo.
Nonostante tutto però, Sin City – Una donna per cui uccidere, rimane un perfetto guilty pleasure che diverte e, in alcune parti, anche esalta, imparando però a soprassedere su quegli evidenti errori narrativi che non ci permettono di rimanere al 100% convinti.
Sara Prian