Mio Papà – Recensione
Lorenzo (Giorgio Pasotti), abile sommozzatore in servizio presso una piattaforma petrolifera, è solito scendere sulla terraferma insieme ad un amico e collega (Fabio Troiano) per cercare facili avventure romantiche. Una notte gli capita casualmente di restare a dormire a casa di Claudia (Donatella Finocchiaro), separata con figlioletto a carico, e scatta la scintilla autentica. Purtroppo il piccolo Matteo, testardo e volitivo, non è disposto ad accogliere questa nuova e per lui ingombrante presenza. I due, pian piano, imparano a conoscersi e capirsi, fino a stabilire un legame duraturo. Il Festival del cinema di Roma apre le danze con una piccola e sincera commedia sentimentale, priva di originalità (neanche tenta di simularla, d’altronde) e non del tutto plausibile (inclina vagamente alla fiaba, per alcuni aspetti) e tuttavia a suo modo coinvolgente. La regia di Giulio Base sceglie la via di una tenera pacatezza nell’esposizione, semi-documentaria, lasciando parlare i personaggi ed il loro disegno che va sviluppandosi di sequenza in sequenza. Colonna sonora quasi assente, giusto spazio ai silenzi e ai primi piani, ironia e tenerezza sparse in dosi equivalenti lungo il percorso narrativo. Per una volta le tematiche non riguardano tanto l’immaturità degli ultratrentenni, quanto l’oggettiva necessità di conciliare l’insopprimibile aspirazione alla libertà con i bisogni dell’altro da se, in modo da trovate la felicità in un impegnarsi che nasce da dentro. Specchio ideale di tali passioni è l’ambientazione, il litorale di San Benedetto del Tronto. Il mare “si sente”, è un tutt’uno con le incertezze e le faticose conquiste messe in scena, e si trasforma in una sorta di co-protagonista sottinteso. Tutti bravi i protagonisti in carne ed ossa, verosimili e in parte grazie ad una recitazione mai sopra le righe. Fa piacere lodare innanzitutto due interpreti di opposta generazione: Niccolò Calvagna, classe 2006 e spontaneità da vendere, ed il sempre in gamba Ninetto Davoli seppur in un ruolo marginale. Ingenuità e forzature, per lo più tollerabili, tracimano però nella conclusiva svolta luttuosa. Commuove, si, ma a scoppio ritardato, tanta è la fretta (e il pressappochismo) nel servircela. Il fuoricampo, poi, la trascina nella parodia involontaria. Resta consigliato a spettatori dal cuore semplice, di ogni età.