L’amore bugiardo – Gone Girl – Recensione
Alla quinta giornata del Festival di Roma si inizia a fare davvero sul serio: nella sezione Gala è stata presentata l’ultima pellicola di David Fincher, L’amore bugiardo – Gone Girl interpretato da Ben Affleck affiancato da Rosamund Pike.
Tratto dal romanzo best seller “L’amore bugiardo” di Gillian Flynn, il film vede protagonista un ex scrittore newyorchese Nick Dunne (Affleck) che, perso il lavoro, si traferisce in una piccola città del Missouri insieme alla moglie Amy (autrice di una saga di libri di successo “Fantastica Amy”) con la quale sembra vivere un matrimonio idilliaco. Ma il mattino del loro quinto anniversario di nozze, la donna scompare misteriosamente senza lasciare tracce. Nick diventa il principale sospettato mentre Amy diviene l’argomento del giorno per i media affamati di notizie sensazionalistiche.
La perfezione di una messinscena. Il succo del film risiede proprio qui, in questa verità legata a doppio filo al regista Fincher (e prima di lui a Gillian Flynn che ha orchestrato il terribile congegno nella pagina scritta del romanzo) e al suo nuovo personaggio femminile, ‘donna che visse due volte’ di matrice scopertamente hitchcockiana (ma non riveliamo di più).
Ancora una volta quello che appassiona Fincher è scavare al fondo della natura umana, delle sue opposte pulsioni, dei suoi contrasti tra la maschera sociale che tutti indossiamo e le tante verità individuali. Questa volta il regista prende la storia di una coppia per sviscerarne i meandri più oscuri, per sezionarne sentimenti, pulsioni nascoste, peccati (e chi meglio di Fincher…).
I lati oscuri, orribili, perversi dell’animo umano, sono quelli che il regista già aveva dimostrato di scandagliare alla perfezione nel riuscito Millennium – Uomini che odiano le donne, la ferocia e la tremenda solitudine deinostri tempi sono quelle già mostrate in The Social Network, l’aura allucinata e allucinante è quella che caratterizza lo stile del regista dai tempi dell’exploit di Seven.
Il percorso è un po’ lo stesso di molte sue opere precedenti, una discesa graduale ma inesorabile in un incubo, come quello in cui precipita il protagonista Nick che viene tirato giù a forza in un gorgo di menzogne, raggiri, false rivelazioni. E capisce che, in qualche modo, deve tentare una reazione.
Anche in questo caso le persone restano sole a causa di loro colpe o di un contesto sociale che rende prigionieri di ruoli, maschere, modelli precostituiti. Si perché qui, ancora di più che in suoi precedenti film, Fincher puta il dito su quei media che ridisegnano a loro modo (reinterpretando anche) la vicenda della donna scomparsa.
Ma il valore aggiunto di quest’opera è nei personaggi e nelle loro reazioni. Questa volta non si tratta solo di marcare la solita polemica contro giornali e soprattutto televisione sensazionalistica: i personaggi sono coscienti dello strapotere della macchina tritatutto dei media e si dimostrano capaci di girare il coltello dalla parte del manico, rivoltando i media per usarli a proprio favore (imperdibili per finezza di tocco le scene finali dell’intervista televisiva).
Una regia perfetta, suntuosa e senza una sbavatura come al solito (Fincher non sbaglia un’inquadratura) incornicia un’opera che è insieme thriller mozzafiato, dramma ad alto contenuto morale e satira sui media. Nei 145 minuti di film non manca neppure qualche tocco ‘pulp’ (e perfino splatter in una sequenza che sarà ricordata a lungo) e una sottile vena humour.
La perfezione di una messinscena, si diceva, un piano orchestrato nei minimi dettagli con una consistente dose di follia. Un’altra claustrofobica storia di un’ossessione, un’altra vertigine in cui si rischia di precipitare (Vertigo di Hitchcock, abbiamo detto, è fortemente presente in questo film) dove si possono cedere le armi e accettare le nefaste conseguenze, oppure no, non sarebbe bene mettere in conto l’imprevisto che spesso fa deviare binario, su questa terra, alle vite di tutti?
Elena Bartoni