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Angels of Revolution – Recensione

In concorso nella sezione Cinema d’Oggi del Festival di Roma arriva Angels of Revolution (Angely Revolucij) del maestro russo Alexey Fedorchenko che questa sera ha ricevuto il premio Marc’Aurelio del Futuro. Nella motivazione il regista è stato definito “una delle figure assolutamente più originali nel panorama della produzione russa del terzo millennio”.
Il film è ambientato nel 1934 in Unione Sovietica. Nel nord dell’immenso paese cova del marcio. Gli sciamani di due popolazioni indigene, gli Ostiachi e i Nenci, non sono disposti ad accettare la nuova ideologia staliniana. Per cercare di conciliare due culture lontane, cinque artisti partono alla volta della Siberia per raggiungere le foreste intorno al grande fiume Ob: un compositore, un scultore, un regista di teatro, un architetto costruttivista, un regista di fama. Il gruppo, guidato dalla leggendaria combattente comunista Polina “la Rivoluzionaria”, si ritrova preso tra il martello della rivoluzione e la falce di un mondo dove cani alati, angeli burloni, non ne vogliono sapere di adeguarsi ai dettami della nuova realtà. Inoltre c’è da considerare che in giro ci sono ancora i fedeli dello zar che non sembrano gradire gli entusiasmi rivoluzionari degli artisti.
Una nota necessaria per chiarire il contesto della storia russa in cui il regista colloca il suo film: si tratta di quella pagina nota come Grande Guerra dei Samoiedi che ebbe luogo nella foresta del Kazym. Negli anni ’30 i sovietici costruirono il centro culturale di Kazym sulle sponde del fiume Amnja, un affluente del Kazym. Il centro comprendeva una scuola, un ospedale, un ambulatorio veterinario e un museo. Ma questa nuova cultura non era accettata dai popoli nativi, gli Ostiachi e i Nenci della Foresta, perché le loro antiche divinità vietavano ogni forma di contatto con i russi. Ancora oggi la Grande Guerra dei Samoiedi ha lasciato un segno indelebile tra le popolazioni locali.
Un ritorno gradito da molti quello del regista russo Aleksej Fedorchenko, autore di opere uniche e pluripremiate come il suo lungometraggio d’esordio First on the Moon (2005) che vinse il Premio Orizzonti Doc alla 62ma Mostra del Cinema di Venezia dove poi tornò nel 2010 con uno dei suoi capolavori, Silent Souls, vincitore del Premio della critica internazionale Fipresci.
Al Festival di Roma Fedorchenko era già stato applaudito per Spose celestiali dei Mari di pianura, presentato in concorso nel 2012.
Oggi la kermesse romana può apprezzare di nuovo il suo cinema dalla cifra stilistica unica, una commistione di magia e realismo capace, come in questo suo ultimo lavoro, di raccontare etnie dalle antichissime tradizioni. Ma pur nell’esotismo dell’ambientazione, il regista riesce nell’intento di rendere universali i comportamenti, le reazioni, le emozioni degli uomini.
Mai come in questo caso a Fedorchenko calza alla perfezione l’etichetta di “fantantropolgo” che gli era stata cucita addosso per aver tradotto in immagine filmica la storia del popolo dei Mari, antica etnia ungro-finnica del centro-ovest della Russia, nella sua opera Silent Souls.
Come quel film, anche Angels of Revolution restituisce un immaginario fiabesco, onirico e poetico: le stesse figure “fantasmatiche”, gli stessi arcaici riti pagani immersi nell’immensità maestosa del paesaggio russo. Il film è diviso in capitoli nei quali gli artisti sono chiamati a fare agit-prop nelle parti più lontane dell’immenso territorio russo e procede per salti temporali che ne rendono, soprattutto nella parte iniziale, un po’ ostica la visione.
Questa nuova opera del regista russo quarantottenne di Sol’-Ileck, cittadina di una remota regione siberiana, conferma la sua straordinaria capacità di giocare con la macchina da presa restituendo l’idea di un senso estetico figlio dell’iconografia russa e del teatro d’avanguardia e di marionette (basti guardare le scenografie dal gusto visionario) ma allo stesso tempo vicino a una moderna sensibilità.
L’uomo e la terra, una riflessione sull’identità che non può mai prescindere dalle radici più profonde. La battaglia culturale a sfondo politico combattuta dai cinque Angeli si gioca qui soprattutto nel terreno delle arti visive ma all’occorrenza non esita a impugnare la pistola.
Un film dal ritmo lento e cadenzato (solo per spettatori che amano un raffinato cinema d’autore) un altro racconto surreale ma “universale”, impreziosito dalla bellissima fotografia di Shandor Berkeshi che stimola sensazioni che appartengono a tutti gli uomini.
Quando il cinema è davvero poesia per immagini.

Elena Bartoni
 

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