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Pelo Malo – Recensione

Già vincitore di numerosi premi tra cui la Conchiglia d’Oro come miglior film al Festival di San Sebastian e quello per la migliore sceneggiatura e migliore attrice al Torino Film Festival nel 2013 ed altri ancora, Pelo Malo arriva sul grande schermo italiano grazie a Cineclub Internazionale.

Una pellicola spontanea, semplice, ma allo stesso tempo carica di significati, Pelo Malo ha come protagonista Junior (Samuel Lange Zambrano) un bambino di nove anni con i capelli ricci ribelli (“pelo malo”). Il nuovo anno scolastico sta per iniziare e il ragazzino decide di volerli lisciare per poter apparire al meglio nella foto dell’annuario. Questa decisione però, lo mette in contrasto con sua madre, Marta (Samantha Castillo). Più Junior cerca di modellare i capelli e farsi amare da lei, più la mamma rifiuta questo suo comportamento.

Metafora del rapporto contrastato genitore-figlio, quel “pelo”, vero protagonista della pellicola, altri non è che l’elemento base, dotato di molteplici significati. È sinonimo di violenza, di anaffettività, di amore nazionalista, di bellezza e del bisogno di apparire al meglio, per stessi e per gli altri.

L’individuo e la società che lo circonda diventano i pilastri di questa base, ed assieme danno vita ad un coming-of-age neorealista. La genuinità che caratterizza i protagonisti, il contesto sociale che fa da sfondo e la povertà di spirito ed economica in cui vivono, rendono l’atmosfera del film reale, spontanea, quel tocco poetico e quasi romantico, che riesce a conferirgli spessore.

Il futuro, la voglia di farcela e di poter regalare ai più piccoli un domani migliore, è questo il messaggio positivo insito nella pellicola, perché nonostante il tema ricorrente dell’ambiguità esistenziale, del gender e di problemi che affliggono gli adulti, Pelo Melo è prima di tutto un film a misura di bambino, l’ambiente che lo circonda e i rapporti con madre, nonna ed amici, sono visti con il suo occhio, quello che guarda al di là di quei palazzoni periferici.

La povertà in cui vivono questi ragazzini è sinonimo proprio di essenzialità, quella che meglio riesce a definire la pellicola in sé. La regista venezuelana, Mariana Rondón, riesce infatti perfettamente ad annullare la sua macchina da presa e dare quel tocco di semplicità alla pellicola, camminando passo passo con il giovane protagonista e riuscendo a regalare una storia di vita quotidiana intrisa di amore, odio, sacrifici e sentimentalismo, un esempio ingenuo e sincero di com’è la Venezuela oggi.

Alice Bianco

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