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Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate – Recensione

Quando Tolkien alla fine degli anni ’30 aveva iniziato il suo viaggio nella Terra di Mezzo con Lo Hobbit, mai avrebbe pensato che un libro da poco più di 300 pagine sarebbe potuto diventare una corposo kolossal da 3 film. Eppure eccoci qui, alla soglia dell’ultima battaglia cinematografica nella Middle Earth, per la saga diretta da Peter Jackson.

Lo Hobbit: La Battaglia Delle Cinque Armate, riprende lì dove l’avevamo lasciato con Smaug pronto ad incendiare la città di Pontelagolungo e Thorin con la compagnia ad impossessarsi della montagna e rimanere ossessionato dal recupero dell’Arkengemma. Invidia, dissidi, bramosia non sono niente in confronto alla minaccia che arriva da Nord: Sauron è pronto a mandare legioni di orchi per attaccare la Montagna Solitaria. Uomini, Nani ed Elfi dovranno unire le forze per evitare di essere distrutti.

L’ultima pellicola de Lo Hobbit va presa per quello che è: un atto conclusivo di una saga che non può essere vista solo come singolo elemento, ma come parte di qualcosa di più grande ed indivisibile. La Battaglia delle Cinque Armate, infatti, altro non è che il seguito de La Desolazione di Smaug e andrebbe, per correttezza, recensito all’interno di un contesto più ampio che tiene in mente anche il secondo capitolo. Se così fosse, però, dovremmo dire che la seconda parte di questa “Desolazione di Smaug” è, sicuramente, più debole.

Il terzo capitolo de Lo Hobbit, infatti, è farcito di molte scene e dialoghi senza alcun nesso logico che affascinano nel loro insieme, ma che, ragionati e presi singolarmente, diventano il tallone d’Achille di questa trilogia. A questo si unisce una grafica che, per quanto curata, troppe volte porta ad avere la sensazione di star assistendo ad un videogioco di strategia più che ad una pellicola.

Continue sbavature e peregrinazioni di sceneggiatura finiranno per far storcere il naso a moltissimi fans con attori bravissimi e anche creature (vedi i vermi sotteranei), relegati a semplici macchiette (anche comiche come il ruolo affidato a Ryan Gage), senza alcuno spessore o utilità se non di intermezzo.

C’è del marcio nella Terra di Mezzo? Non tutto, anzi. La Battaglia delle Cinque Armate, con tutti i suoi difetti, è un film, in ogni caso godibilissimo (nonostante i troppi, inutili, rallenty),  con i suoi momenti epici e altri perfettamente inseriti nello spirito tolkeniano, che non fa pesare le sue 2 ore e 40 di lunghezza e con delle scene che, anche estrapolate dal contesto, rimangono epiche, al limite della poeticità e memorabili, una su tutte, senza spoilerarvi, quella che vede in scena un’inedita Galadriel.

Inutile dire poi che, nonostante le sbavuture e i momenti poco ispirati dovuti ad un forzato allungamento della storia, Peter Jackson ci regala IL viaggio che sognavamo di intraprendere nuovamente dopo la fine de Il Signore degli Anelli, ci restituisce con estrema sincerità e rispetto un mondo magico, bello e pauroso allo stesso tempo, dove l’eroe, ancora una volta, si nasconde anche nel più piccolo essere.

Sara Prian

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