La teoria del tutto – Recensione
A guardare i biopic usciti nelle sale in queste prime settimane di gennaio, sembra quasi che un fil rouge leghi The Imitation Game, storia su Alan Turing, e La Teoria del Tutto su Stephen Hawking. No, non stiamo parlando del genio matematico o fisico che sia, ma dell’amore, di quello che non ti aspetti, del romanticismo dietro ad una storia che si maschera di altro. E come il sentimento è stato il fulcro della pellicola con Benedict Cumberbatch, anche nel film di James Marsh, con protagonisti due straordinari interpreti come Eddie Redmayne e Felicity Jones, diventa il perno su cui ruota la storia di Hawking, della sua lotta contro la malattia dei moto neuroni e della ricerca di un equazione perfetta che provi la sua teoria di un Universo in continua espansione.
Siamo all’inizio degli anni Sessanta e un giovane Stephen Hawking è una delle più grandi menti che Cambridge abbia con sé. Dopo essersi innamorato di una giovane studentessa di lettere, Jane Wilde, piomba sulla sua testa l’annuncio di essere affetto da una rara malattia che costringerà il suo corpo e la sua mente ad un immobilismo e ad una speranza di sopravvivenza di due anni. Contro tutto e tutti Steve e Jane si sposano e il ragazzo, ormai uomo, approfondirà le sue teorie sull’universo.
Non possiamo negare che La Teoria del Tutto sia un film furbetto, che strizza l’occhio non solo ad un pubblico abituato agli sceneggiati televisivi, ma anche e soprattutto agli Awards, mettendo sul piatto tutti quegli elementi acchiappa premi che tanto piacciano all’Academy e compagnia. D’altro canto però non si può nemmeno negare che James Marsh ci regali un’opera commovente, dove ogni cosa è al suo posto e che mette in risalto la chimica e il tremendo talento dei suoi due giovani protagonisti.
Eddie Redmayne e Felicity Jones sono, infatti, il motivo principale per cui la pellicola merita di essere vista, sono il collante, l’armonia che dà vita alla storia, anche se il romanticismo di cui siamo spettatori non è sicuramente dei più consoni (come, d’altronde, non lo era nemmeno quello di The Imitation Game). Sembra, infatti, che siamo davanti ad una nuova generazione romantica, che si distacca dai cliché e ci dimostra come questo TUTTO, della teoria, riguardi anche l’amore, quella cosa che muove il sole e le altre stelle.
Marsh sembra dirci che l’universo si espande, come vorrebbe Hawking, ma allo stesso tempo è anche il concetto d’amore che diventa più elastico e non si ferma, continua la sua corsa, trovando il suo modo di esistere e di essere anche quando tutto sembra dire il contrario.
Procedendo attraverso questo parallelismo, La Teoria del Tutto è un biopic onesto e dignitoso, che non mette in scena dei falsi moralismi e che, se non memorabile, emozionerà grazie alle interpretazioni di Redmayne e della Jones, divisi come nel più classico, in questo caso sì, romanticismo tra Ragione e Sentimento.
Sara Prian