La Piramide – Recensione
Found footage, questa la tecnica ultimamente più usata dai registi di film horror e non, per dare un tono alla propria opera, escamotage che però in La piramide, pare non essere riuscito a dare i risultati sperati.
La pellicola di Grégory Levasseur, ambientata a Il Cairo nell’agosto 2013 vede protagonista un gruppo di archeologici americani, che scopre una nuova piramide sepolta nel deserto. Nonostante i disordini sociopolitici in corso, una troupe di documentaristi arriva per filmare la grande scoperta. Il dottor Holden (Denis O’Hare) e la figlia Nora (Ashley Hinshaw), a capo della spedizione, non vedono l’ora di potervici entrare, così come la documentarista Sunni (Christa Nicola), il suo cameraman, Fitzi (James Buckley), Michael Zahir (Amir K), l’esperto di robotica e il suo mini-robot della NASA, Shorty, dotato di telecamera. Quest’ultimo si inoltrerà nella piramide per un giro di ricognizione, ma non vedendolo tornare, il gruppo si inoltrerà nella piramide per recuperarlo. Ben presto però si perderanno e scopriranno che la piramide è abitata da misteriose e sanguinarie creature.
Film d’esordio del regista, già cimentatosi in buone sceneggiature come Maniac (2012) e Le colline hanno gli occhi (2006), La piramide pare proprio risentire della sua mancanza nel reparto scrittura. È infatti da imputare maggiormente a Daniel Meersand e Nick Simon, i due sceneggiatori, il risultato deludente.
La storia di per sé ricalca moltissime altre precedenti sceneggiature horror, l’Egitto poi ed in particolare le piramidi, così come la loro millenaria atmosfera ricca di mistero e fascino, sembrano essere le ambientazioni più classiche che potessero essere riportate sul grande schermo ed ormai sempre più povere di quel loro charme affabulatore.
Come se non bastasse, la coppia di sceneggiatori ha dato via a dei personaggi che quasi fin da subito, non convincono. Optando per un effetto spettacolarizzante, volendo dar vita ad un film fedele al genere, ma senza sbilanciarsi troppo, essi risultano funzionali anche se non completamente, alla storia, a tratti troppo logorroici ed arroganti.
L’ambientazione, quei cunicoli bui esplorati prima dal robottino e poi con l’accompagnamento della telecamera di Fitzi, rendono bene l’effetto di claustrofobia e finiscono per essere la parte più bella del film, creando quel minimo di angoscia e tensione.
Di per sé però, La piramide risulta essere una pellicola superficiale, che usa lo stratagemma del found footage come abbellimento, senza però dimostrare concretamente nulla di nuovo, una prova d’esordio povera, un vero peccato per un giovane Levasseur, che avrà modo sicuramente di rifarsi.
Alice Bianco