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Kingsman: Secret Service – Recensione

Il regista Matthew Vaughn torna a trasporre sugli schermi l’opera a fumetti di Mark Millar, a 5 anni dal notevole “Kick-ass”. Di nuovo un percorso di crescita, stavolta in omaggio (e al tempo stesso parodia sottintesa) del grande cinema di spionaggio. Ne è protagonista il giovane Gary Unwin, figlio di un agente segreto caduto coraggiosamente per salvare la vita dei colleghi. Cresciuto con madre problematica e patrigno brutale, il ragazzo vive alla giornata come un piccolo delinquente. Almeno finchè l’agente Harry Hart (debitore verso il babbo di Gary) lo prende con se e lo addestra per seguire le nobili orme paterne. Diviene così membro del raffinato gruppo di intelligence denominato Kingsman, e si troverà a dover salvare il genere umano dalla follia di un miliardario esperto di informatica. Il confronto con la precedente esperienza “millariana” può mettere un luce qualche pecca, legata ad eccesso di ambizioni. Meno concisione, maggiori concessioni a manierismi e compiacimenti estetizzanti nella messinscena, in generale una prevalenza delle forme sui contenuti e sull’empatia verso i personaggi. Qualunque appassionato del genere non deve, però, lasciarselo sfuggire. Rimane un divertimento satirico ed accattivante, diretto con sagacia ed ineccepibile sul versante degli effetti speciali. Vaughn conferma la propria maestria nel coreografare sparatorie e scontri fisici, avvalendosi di un senso del ritmo e dello spazio da mozzare il fiato. Coniuga inoltre l’azione con l’ironia e la suspense, elargendo in pari quantità risate e passaggi da brivido. Tra l’altro, una volta grattato via il sottile velo di eleganza british che insaporisce la confezione (di impronta vagamente europea, mai stucchevole) viene fuori una cattiveria concettuale che nulla ha da invidiare a quella sprigionata dal Kick-ass su celluloide. Risulta, anzi, incentivata, sotto il segno di un sarcasmo tanto aspramente feroce quanto genuinamente vitale. Bisogna pazientare per gustarlo appieno perché “Kingsman” è, e va ritenuto punto a favore, un film in crescendo. Intorno all’ultima mezz’ora inizia una corsa esaltante, costruita sull’iperbole, in cui le sequenze da ricordare si accavallano. E, gli animi sensibili sono avvisati, la vena splatter di Vaughn non si fa pregare. Grande prova di Samuel L. Jackson, strambo ed eccentrico genio del male, e non gli è da meno un Colin Firth in vena di humor e finezze nei panni di Hart. Ad accompagnare il tutto abbiamo un’ appropriata colonna sonora dalle sonorità epico-avventurose, cui si affiancano brani di repertorio selezionati ad arte. Guardatelo su grande schermo, vale il prezzo pieno del biglietto.

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