Wild – Recensione
Film d’avventura, ma soprattutto viaggio nel passato, presente e futuro di una donna che, per riscoprirsi, decise di affrontare il Pacific Crest Trail, sfidare se stessa, la natura e i propri dolorosi ricordi, rifiorendo. Questo è Wild il nuovo film di Jean-Marc Vallée (Dallas Buyer Club), una storia vera, un percorso di rinascita lungo centinaia di chilometri, impreziosito dall’intensa interpretazione della candidata all’Oscar, Reese Whiterspoon.
È proprio lei a vestire i panni di Cheryl Strayed, colei che negli anni ’90, dopo aver perso la madre alla quale era molto affezionata e dopo aver divorziato dal marito, decise di percorre oltre mille miglia lungo la pista di trekking più famosa d’America per elaborare il lutto e la fine del suo matrimonio: nel suo viaggio in solitario riuscì ad affrontare le sue paure.
Dopo Into the Wild (2007), più incentrato sull’idea di libertà e con una riflessione generale sui paesaggi e sul vivere americano, il nuovo film di Vallée è invece più intimista, è una storia personale, sempre di riscoperta di se stessi, ma con un sottofondo malinconico e doloroso.
Paure, grida soffocate, sofferenza, comportamenti selvaggi e una natura anch’essa desolata ed inospitale. Cheryl affrontò così il proprio viaggio fisico e non, senza non poche difficoltà, ma con un’ancora: la presenza fisica, spirituale o zoomorfa della madre.
La donna più importante della sua vita se n’è andata e, proprio attraverso dei flashback, è possibile vedere coma la vita di Cheryl sia andata a rotoli. Un vuoto il suo, che la donna ha deciso di colmare con amicizie e frequentazioni sbagliate, nonché con la droga e il sesso. Caduta negli abissi più profondi, con un matrimonio distrutto, nonostante l’amore del marito ed un rapporto contrastato con il fratello, Cheryl si impone di rinascere.
Per risalire, per riemergere a nuova vita, quale idea migliore se non scalare una vetta altissima? Ed ecco che, quasi come una sorta di Camino de Santiago, Cheryl riflette su se stessa, sugli errori commessi e guardando l’orizzonte davanti a lei impara a riacquistare la forza e il rispetto perduti, per redimere se stessa.
Se da una parte la sceneggiatura di Nick Hornby e l’interpretazione di Reese Whiterspoon sono degne di nota, la regia non presenta invece nessuna particolarità, la macchina da presa rimane accanto alla protagonista, spaziando poche volte verso il paesaggio mentre è il montaggio a dare quel senso di intimismo alla pellicola, grazie alla successione, a volte anche fulminea, dei flashback.
Come per Tracks-Attraverso il deserto (2014), è la donna la protagonista di questa avventura, ma a differenza di Mia Wasikowska, la Whiterspoon non ha il compito di dimostrare tutto il suo sacrificio, bensì quanto valga ed è nel far affiorare i suoi sentimenti, che la protagonista riesce ad entrare pienamente nel cuore dello spettatore.
Alice Bianco