Fury – Recensione
Mettere in scena la guerra e crearne un film originale, non è sempre facile, ma lo sceneggiatore e regista David Ayer, con Fury, è riuscito nell’intento di raccontare una storia originale, concentrandosi sui dettagli, facendo trasparire la volontà di dar vita ad un film corale e riuscendo a mantenere la tensione fino all’ultimo istante.
Ayer ha voluto ambientare la pellicola in Germania, nell’aprile 1945, quando ormai la seconda guerra mondiale stava per terminare. Il sergente Don Collier “Wardaddy” (Brad Pitt), è il leader di un gruppo di soldati tra loro diversi, riuniti tutti all’interno di un tank chiamato Fury: Boyd (Shia LaBeouf), Trini (Michael Peña), Grady (Jon Bernthal) e il più piccolo, un dattilografo alla sua prima esperienza sul campo, Norman Ellison (Logan Lerman). Don si prenderà cura di lui come un padre, ed insieme al plotone, avanzeranno fino alla fine contro il nemico, in un’importante operazione di cameratismo tra uomini, pronti a combattere trecento soldati tedeschi.
Ispiratosi probabilmente ad un altro grande successo del genere come Lebanon (2009) e ben mescolandosi alle vicende e al fango di Salvate il soldato Ryan (1998), Fury si fa spazio con il suo cannone, grazie a Lucky Red che l’ha salvato dal dimenticatoio, e buca il grande schermo italiano.
Come il passo lento e pesante dei cingolati, il tank “Fury” e i soldati al suo interno, fanno pian piano breccia nel cuore dello spettatore. La prima mezz’ora del film è infatti dedicata alla conoscenza dei personaggi, al rapporto che si instaura fra loro all’interno di quella che diventerà un’abitazione e a sottolineare la diversità caratteriale di ognuno di essi.
In Fury c’è però anche tempo per i sentimenti e la commozione, il vero punto di forza del film, che portano poi al clou della pellicola: le scene d’azione. La storia invece la si sa già, quindi, coscienziosamente, Ayer ha deciso di non soffermarsi sugli antefatti o chiedersi dei perché.
Fury infatti, non si interroga sulla guerra, non lascia spazio a riflessioni belliche, è un corpo a corpo tra macchina ed essere umano. Il carrarmato diventa la casa mobile di quel gruppo di soldati, li riunisce come fossero una famiglia e si fa scudo per loro fino alla fine.
È infatti la squadra Pitt-Lerman-LaBeouf-Peña-Bernthal, a dar vita ad una pellicola originale caratterizzata dai loro volti stanchi e segnati ed incentrata sul significato di famiglia. Tra essi in particolare, spicca l’interpretazione di Logan Lerman, che si dimostra abile in uno dei primi ruoli seri dopo numerosi film per adolescenti. Brad Pitt invece, mentore del gruppo e dello stesso cast, si impone ma non troppo.
Con intensità, coraggio, quello che dimostrano i soldati stessi, e scene d’azione ben calibrate, Fury si dimostra un buon film bellico, che oltre al sudore e allo sporco, sa regalare tante emozioni.
Alice Bianco