Ex Machina – Recensione
Come dimostrare di saper realizzare una pellicola sci-fi senza dover investire milioni di milioni di dollari e lasciare tutto in balia degli effetti speciali. Alex Garland ci è riuscito con il suo Ex Machina, una pellicola ricca di spunti di riflessione, che scava nella profondità del rapporto uomo-macchina e che mantiene viva l’attenzione dall’inizio alla fine.
Il protagonista è Caleb (Domhnall Gleeson) un programmatore, invitato nella residenza del fondatore della società scientifica per cui lavora. Arrivato in un luogo segreto, Caleb capisce di essere stato scelto da Nathan (Oscar Isaac) per un importante esperimento. Da decenni infatti è al lavoro sulla costruzione di un’intelligenza artificiale e Caleb deve testarla per capire se abbia raggiunto o meno l’obiettivo. Il modello attuale con cui Caleb si confronta si chiama Ava (Alicia Vikander), una sorta di robot con forma umanoide, pelle e circuiti, che ragiona ed è conscia del suo status. Dopo i primi giorni Caleb comprende però che c’è qualcosa che non va e alcune confessioni di Ava gli faranno scoprire qualcosa di inquietante.
È proprio il terzetto Ava-Nathan-Caleb, su cui si concentra sin dall’inizio Garland (ed un’ombra che alla fine si rivelerà fondamentale). Caleb è il deus “Ex Machina”, Ava è il robot più simile all’uomo che ci sia, in grado di entrare in empatia con lui, verosimile dal punto di vista fisico ed emotivo, mentre Nathan è il finanziatore e maniaco del progetto.
Attraverso un gioco di inganni, elementi nascosti ed istinti, Garland pone lo spettatore sia nei panni di Caleb che in quelli di Ava, gioca con la sensualità, le loro emozioni e facendo così esplora diversi temi, come la differenza fra verità e bugia, la manipolazione di esse e delle informazioni.
Garland pone al centro quindi, l’uomo e la macchina, il rapporto che si può instaurare fra i due, l’empatia fra i due e sottolinea quell’importante ma sottile limite fra un robot umanoide ed un essere umano, quanto entrambi siano fragili, ma dotati di comportamenti a volte molto simili.
Un rapporto del genere era già stato affrontato nel più recente Her (2013) anche se Ex Machina è ben diverso; Ava, nonostante l’autocoscienza non è solamente una voce, è un robot con un corpo, sebbene ancora sperimentale e il nascondiglio segreto, l’ambiente claustrofobico in cui i due vivono concorre a creare una sorte di intimità, ma allo stesso tempo anche la giusta dose di tensione.
Ex Machina inizialmente parte in sordina, mantiene però un ritmo statico ma ricco di pathos e culmina poi in un plot twist finale, mozzafiato. A dare quel tocco in più sono le interpretazioni dei protagonisti, in primis Oscar Isaac, un tocco accattivante ad una pellicola che nel suo insieme, anche se un po’ cupa riesce a far riflettere e scavare nelle profondità di noi stessi.
Alice Bianco