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The Danish Girl – Recensione

Tom Hooper, dopo Il discorso del Re e I miserabili, ritorna in anteprima a Venezia, con un’altra storia di uomini e donne, di amore e bellezza, scenica e registica, confermando la particolarità del suo stile, studiato con cura e con due protagonisti che danno il meglio di sé, per una narrazione perfetta, forse fin troppo, l’unico vero punto debole della pellicola.

L’attore premio Oscar, Eddie Redmayne interpreta il ruolo di Einer Wegner, un pittore danese, innamorato dei paesaggi tipici del suo Paese e della moglie, l’aspirante collega pittrice, Gerda (Alicia Vikander). Quasi per scherzo, il marito inizia a posare per la moglie facendo finta di indossare degli abiti femminili, ma ben presto capisce che mettendosi letteralmente nei panni delle donne, si sente più se stesso, fino a diventare Lili Elbe, il primo transgender ad avere tentato di cambiare il proprio corpo.

Amore per l’arte, amore come sentimento provato fra i due coniugi, Tom Hooper e la sceneggiatrice Lucinda Coxon hanno puntato proprio su questo. Il rapporto tra Einer e Gerda è infatti al centro della vicenda, più della trasformazione e del cambiamento interiore del pittore.

È proprio lo stare accanto al marito in tutte le sue fasi, dall’avvicinamento al mondo della moda femminile, all’istruirlo nel comportamento da adottare fino al suo completamento finale, il cambiamento di sesso, ciò che sostiene la struttura della narrazione. Alicia Vikander è l’ottima spalla destra di Redmayne che con la sua interpretazione sentita dimostra il doppio ruolo di moglie, amica e sostenitrice del marito.

I due co – protagonisti sembrano quasi essere intercambiabili. Einer diventando Lili annulla la sua mascolinità, si affida alle cure della moglie e i ruoli si invertono; Gerda nel suo occuparsi del marito, continuandolo ad amare fino all’ultimo respiro e prendendosi cura di lui, si trasforma anch’essa, come un uomo.

Poco sviluppato è invece il ruolo assegnato a Mattias Schoenarts, Hans Axgil, l’amico d’infanzia di Einer, introdotto forse troppo tardi nella storia. Funge solamente da sostenitore di Gerda, ma alla fine, nella terza fase, quello conclusiva, la più delicata.

Delicata, appassionata e commovente, ma forse troppo patinata, la pellicola di Hooper ha conquistato la critica, anche se non pienamente. La sceneggiatura, qualcosa che poteva essere tolto e qualcos’altro che poteva aggiunto, sembra essere il vero problema della pellicola.

Nulla invece si può dire contro lo stile registico del premio Oscar, che ha ribadito la sua bravura e la sua accuratezza nel trattare i dettagli, dal comparto scenico, ai vestiti, alla musica (del pluripremiato Alexandre Desplat) alla fotografia, per una pellicola perfetta a candidarsi alle prossime nomination Oscar, che attirerà il pubblico e che porterà attenzione su un tema ancora poco conosciuto e tabù.

Alice Bianco

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