Anomalisa – Recensione
Il premio Oscar, Charlie Kaufman, sbarca in Concorso alla 72esima Mostra del cinema di Venezia con una pellicola tutta realizzata con la tecnica stop motion e grazie ai consensi e denaro raccolti da lui e il co-regista, Duke Johnson, con un progetto di crow founding indetto sulla piattaforma Kickstarter.
Nata come piece teatrale, Anomalisa, approda sul grande schermo con un protagonista come Michael Stone (David Thewlis), un motivatore che si occupa di customer service ed arriva a Cincinnati per un convegno. Alloggiando all’Hotel Fregoli, incontra Lisa (Jennifer Jason Leigh), una giovane donna ospite dell’albergo; i due trascorreranno una notte insieme, che metterà in discussione l’esistenza stessa del protagonista.
Il cervellotico Kaufman ritorna a far parlare di sé con un film d’animazione creato a quattro mani con un altro regista, ma le tematiche a lui tanto care continuano a governare la scena. Amore, i sentimenti, riflessioni sulla vita e sull’identità, la propria e quella degli altri, Kaufman non si risparmia, dando vita ad un microcosmo quasi robotico, Stone è un pupazzo meccanico, inserito in un mondo di suoi simili, tutti uguali.
L’anomalia, l’una diversa da tutti gli altri, è Lisa. Davanti ai suoi occhi lei è l’unica a fare la differenza ed è per questo che Kaufman decide di riservare alla donna una voce diversa, fuori dal coro rispetto a quelle di tutti coloro che appaiono a Michael come individui con lo stesso identico volto.
Di fronte ad Anomalisa, lo spettatore si ritrova a dover riflettere sull’esistenza di una comunità, la società intera, di robot quasi senza sentimenti, dove l’una fra tanti è l’anima gemella, colei con cui si è veramente se stessi. Stone, nonostante una moglie e un figlio a casa ad attenderlo, vede in Lisa il vero sentimento ed è alla fine che il film adotta il punto di vista di lei.
Nel pieno di queste riflessioni esistenziali e metafore, Kaufman riserva diverso spazio anche alla comicità, con siparietti e battute tra umorismo nero, sarcasmo e scene di sesso “anomalo”. In tutto questo nonsense, la morale, il messaggio finale non viene comunque tradito bensì rappresenta quel plus positivo.
Se non fosse per quelle fastidiose cuciture sulla testa dei protagonisti, lo spettatore si convincerebbe che a recitare siano delle persone e addirittura in carne ed ossa. Il confine fra animazione e film è infatti labile, si annulla ed è un altro punto a favore per Kaufman, che ancora una volta regala al pubblico un’opera sociale, in grado di divertire e allo stesso tempo far riflettere.
Alice Bianco