Remember – Recensione
Da sempre il nazismo, i campi di concentramento e il secondo conflitto mondiale vengono affrontati dal cinema attraverso documentari, biopic e film drammatici in costume, il regista di origini egiziane, Atom Egoyan presenta oggi al Festival di Venezia una pellicola sull’argomento, ma estremamente originale, soprattutto per ciò che riguarda la sceneggiatura.
Attraverso la storia di Zev (Christopher Plummer) un quasi novantenne affetto da demenza senile, che dopo la morte della moglie decide, insieme al suo caro amico Max (Martin Landau), di dedicare le sue ultime energie per rintracciare il comandante nazista responsabile della morte delle loro famiglie, il regista affronta uno dei periodi più cupi del XX secolo. Max, troppo fragile per lasciare la casa di riposo, manda Zev ad intraprendere il viaggio da solo, quando però si ritroverà faccia a faccia con il nemico, scoprirà una terribile verità.
Film drammatico che pian piano assume i tratti del road movie, trasformandosi in un thriller con plot twist finale, Remember è un film sulla memoria, la mancanza di essa (associata alla malattia del protagonista) e del ricordo legato al terrore nazista e a tutte le sue vittime.
Zev e Max sono due tra i milioni di ebrei rinchiusi nei campi di concentramento a voler nutrire la loro sete di vendetta. L’uomo anziano, all’apparenza innocuo, si avventura in un lungo viaggio di ricerca e con uno scopo ben preciso, a ricordarglielo continuamente, l’amico, il complice, Max, che lo guida a distanza, affinché possa scoprire la verità.
Il passato e la memoria si fanno contenitore segreto di falsità e dolorosi ricordi, che affioreranno pian piano. È infatti la costruzione narrativa, i cambi di genere in corsa, il ritmo movimentato della storia, in netto contrasto con la difficoltà di movimento del protagonista, a determinare il successo della pellicola.
In quella sequela di incontri con coloro che di nome fanno Rudy Kurlander, uno dei pochi indizi in mano a Zev, la narrazione si scrive da sé, dando modo allo spettatore di conoscere la tragedia del protagonista, la sofferenza provata, in particolar modo nella scena in cui il figlio di uno dei quattro Rudy trovati, scoperto che l’anziano è un ebreo, lo assale con le parole, come fosse un interrogatorio delle SS.
Nient’altro si può svelare di questa pellicola che ha dell’incredibile e deve tutto il suo successo al premio Oscar Christopher Plummer, una vera forza della natura, alla sua spalla destra, un altrettanto bravo Martin Landau, ma soprattutto all’esordiente sceneggiatore Benjamin August, a cui va il merito per essere riuscito a mantenere alta l’attenzione, la tensione e la voglia di continuare il viaggio e raggiungere la metà finale.
Egoyan, dopo The Captive, presentato al Festival di Cannes, riesce a stupire e spiazzare anche lo spettatore di Venezia, con una pellicola all’apparenza semplice, ma che non manca di sorprendere; senza dubbio un modo originale per affrontare un tema da sempre raccontato e trattato allo stesso modo da moltissimi regista, prima.
Alice Bianco