Ville-Marie – Recensione
Monica Bellucci e il suo charme approdano alla Festa del Cinema di Roma dove l’attrice è protagonista del film Ville-Marie, presentato della Selezione Ufficiale e diretto dal regista canadese Guy Édoin.
La storia è quella di quattro vite che si incrociano nell’ospedale di Montréal che dà il titolo alla pellicola. L’attrice europea Sophie Bernard arriva nella città canadese per girare un film e coglie l’occasione per andare a trovare il figlio ventenne Thomas con la speranza di riallacciare i rapporti rotti da tre anni. Ma il ragazzo ha intenzione di sfruttare l’incontro con la madre per riuscire ad avere qualche risposta su suo padre. Nello stesso momento all’ospedale Ville-Marie, il paramedico Pierre soffre di sindrome da stress post-traumatico e pensa di avere il supporto di Marie, l’infermiera che gestisce il Pronto Soccorso sempre affollato. Le vite dei quattro personaggi si incrociano proprio durante un evento tragico nell’ospedale Ville-Marie nel corso di una lunga notte.
Vita e morte, maternità e sensi di colpa, passato e presente, tutto ruota intorno ai quattro destini che si incrociano in un ospedale canadese.
I dolori dell’uno impattano su quelli dell’altro in una catena di sofferenze: e così il figlio dell’attrice è nato dalla violenza (e la madre non gli ha mai rivelato l’identità del padre), il paramedico soffre di disturbo post-traumatico da stress e ne è prigioniero, l’infermiera non sa prendersi cura del proprio figlio dopo che un altro le è morto, il figlio dell’attrice si ritrova tra le braccia un neonato di una donna sull’orlo del suicidio.
Una Bellucci in versione madre dolente e spesso senza trucco (“nel film sono una madre, una donna e un’attrice che usa l’arte per proteggersi” ha sottolineato la diva) non convince in pieno, come non lascia il segno il melodramma che è chiamata a interpretare.
Decisamente troppo poi, chiedere all’attrice di essere credibile mentre canta il brano “Can’t Help Falling in Love”, la cui versione più celebre resta quella di Elvis Presley.
Migliori sono le prove degli altri attori, a partire dal giovane Aliocha Scheinder nei panni del giovane figlio della Bellucci, per finire con Pascale Bussières nel ruolo dell’infermiera Marie e Patrick Hivon che interpreta il sofferente paramedico Pierre.
Dopo il suo primo film, Marécages, era lecito aspettarsi qualcosa di più da Édoin che questa volta si è impantanato nelle lacrime di un melodramma eccessivamente stilizzato che per certi aspetti può ricordare il ben più riuscito Crash di Paul Haggis per l’insieme di esistenze che si sfiorano in un susseguirsi di eventi violenti e drammatici in una cornice buia, nera, notturna, anche in senso morale.
Ma nella serie di drammi provocati da un beffardo destino, il film di Édoin non raggiunge la stessa intensità del film di Haggis restando un’opera debole e poco riuscita.
Elena Bartoni