The Walk – Recensione (2)
Da Parigi a New York, la storia di Philippe Petit, il funambolo che affinò l’arte di sfidare la morte per sentire la vita dentro di sé. Nel 1974 compì l’impresa, percorrendo in equilibrio precario una corda tesa tra le due Twin Towers di Manhattan, appena inaugurate. Robert Zemeckis prende la biografia di Petit e ne ricava un lungometraggio d’autore ardito ed alternativo. Vi convivono drammatizzazioni mirate, comicità, attenzione maniacale ai dettagli e allo studio dei caratteri, e incursioni nel fantastico non indegne del “realismo magico” di certo cinema francese contemporaneo. E’appunto la meticolosità nell’esposizione, la cura nell’illustrare in profondità gli avvenimenti, il punto di forza e assieme il limite dell’operazione. Sebbene lontano dalla freddezza del mero esercizio di stile, necessita di spettatori pazienti e disposti a seguire quei passaggi altrimenti facilmente etichettabili come lungaggini. Senza dubbio la sostanza della vicenda poteva essere resa in meno di due ore, ma la resa dei personaggi e la ricchezza di significati ne avrebbe risentito. La suspense connessa al pericolo di vita non ha un ruolo preponderante, non quanto ci si potrebbe aspettare (del resto, sappiamo che il giovane protagonista non è destinato a perire!) e di fatto Zemeckis non punta su di essa per attirare la nostra attenzione. Si serve dei dialoghi e della poesia impressa nelle immagini, e soprattutto di un cast superbo. Gordon-Levitt rimodella magistralmente la sua verve sorniona nell’immedesimarsi in questo protagonista fuori dagli schemi, e padroneggia l’accento francofono (in francese ed inglese) con magnetico ed impegnato camaleontismo. Non gli è da meno Ben Kingsley nei panni dell’anziano maestro e mentore Omankowski. I sofferenti di vertigini saranno comunque messi a dura prova dal climax della pellicola, costituito ovviamente dalla lunga sequenza della camminata. Giocata sulla suggestione del vuoto prima che sulla paura, è tesa e sospesa quanto la corda su cui si svolge, da mozzare il fiato anche se consapevoli dell’epilogo. In un discorso sul significato dei sogni, dove si racconta del impossibile che irrompe nel possibile, l’immagine delle Torri Gemelle incombe – come non potrebbe, oggi? – a simbolo di speranza distrutta eppure non rimossa. Lo sottolinea il finale, in poche inquadrature emblematiche. Vederlo rigorosamente su grande schermo in 3D e, più complicato ma ancor più necessario, in lingua originale.