Land of Mine – Recensione
Nel 1945, appena conclusa la Seconda Guerra mondiale, molte migliaia di prigionieri tedeschi (per lo più ragazzi giovanissimi) furono condotti in Danimarca col compito di scovare e disinnescare le svariate mine che il Reich aveva disseminato lungo la costa occidentale. Seguiamo le vicende di un gruppo di questi sfortunati, seguiti da un rude sergente del luogo. Apparentemente sprezzante verso i suoi sottoposti, l’uomo svilupperà per loro un affetto paterno che lo porterà a difenderli e infine a salvane alcuni. Duro da affrontare, non da seguire, il film richiede una sensibilità che trascende l’impressionabilità per essere accettato. Con inquadrature essenziali, nella cornice di uno spoglio paesaggio tanto affascinante quanto aspro, narra una storia in sostanza semplice ma intrisa di significato. Le sequenze di angoscia sospesa, preventivabili dato l’argomento, sono snervanti e sconvolgenti ma non costituiscono la sola cifra dominante del film. Dominano l’attenzione per l’approfondimento dei personaggi, i momenti di quiete finalizzati a mostrare l’umanità del rapporto instaurato tra dietro alla follia bellica della situazione in cui si trovano. Non un movimento di macchina superfluo, tutto è pervaso da una calma fatalità interrotta – ma non inquinata – dai passaggi più sgradevoli. Almeno due o tre sequenze memorabili di cui una, a seconda dei punti di vista, può apparire un colpo basso nei confronti dello spettatore. La dimensione storica, su avvenimenti poco noti della storia europea, autorizza però ad ipotizzare che spesso la tragedia reale abbia superato la finzione. Mirabile squadra di interpreti giovani, capaci di veicolare il dolore attraverso sguardi e silenzi, e un protagonista adulto degno di nota. Fa percepire, come pochi altri lungometraggi hanno saputo fare, la nausea della guerra e l’insensatezza nel protrarre l’odio. Anticommerciale, istruttivo e coinvolgente.