Legend – Recensione
Vera storia dei gemelli Reggie e Ronnie Kray, che nel corso degli anni ’60 fondarono un impero criminale nell’East End di Londra. Voce narrante e terza protagonista (non passiva) è la donna di Reggie, Frances. Biografia, dramma criminale venato di romanticismo, black comedy, tre note suonate dal regista Brian Helgeland in sublime armonia. Mette i personaggi davanti all’azione, intinge la violenza in uno humor brioso e sardonico, fa ridere ed inquieta senza trascurare un solo dettaglio nel disegno psicologico. Tom Hardy si sdoppia (con prevalenza di controfigure e controcampi rispetto ai trucchi fotografici) e giganteggia per verve mimetica, meritevole di un oscar o forse due. Su Reggie è contenuto ed accattivante, coniugando ferocia ed empatia; su Ronnie, personalità disturbata e schizofrenica, dà campo libero all’istrionismo e si supera. Ne esce una figura buffa e tragica insieme, esteriormente sopra le righe ma caratterizzata da una strana saggezza che non esclude un lato profondamente umano. Nell’ultima mezzora, quando il corso degli eventi si avvia alla conclusione e il cerchio sta per chiudersi, predomina il versante drammatico e sentimentale. E’una sterzata per certi versi brusca, e vi affiora qualche stanchezza probabilmente inevitabile (in 130 minuti va di forza tirato il fiato). Porta, però, a un necessario e straziante colpo di scena, e serve a diradare il grottesco riconducendo l’ironia nella dimensione del realismo storico. Da segnalare anche l’eccellente montaggio, l’assenza di vezzi confusionari nell’inquadrare gli scontri corpo a corpo e la squadra di comprimari, nonché la rinuncia allo stereotipo becero nella caratterizzazione degli italoamericani. Opera meticolosa e divertita, di stile sofisticato ed aguzzo.