Il sapore del successo – Recensione
Senza ombra di dubbio, il cibo è la vera star di questi anni, autentico fenomeno mediatico del nuovo lifestyle: show o talent gastronomici impazzano in tutte le tv e i libri di ricette sono i nuovi bestseller che campeggiano sugli scaffali delle librerie. In questo panorama, ovvio che gli chef siano i nuovi divi onnipresenti in televisione, libreria e ovviamente anche al cinema.
E sul grande schermo arriva l’ennesima commedia gastronomica che narra le (dis)avventure di uno chef alla caccia della sua terza “stella” (Michelin ovviamente).
Questa volta si narra la storia di uno chef che ha già assaporato il successo ma lo ha perso. Noto come l’enfant terrible della ristorazione parigina, Adam Jones aveva conquistato le ambitissime due stelle Michelin ma poi le aveva perse a causa del suo stile di vita disordinato e delle sue dipendenze da alcool e droghe. Con una vita precipitata nel caos, decide di andare a espiare i suoi peccati pulendo la cifra record di un milione di ostriche in Louisiana. Deciso a rimettersi in carreggiata, Adam torna a Londra alla ricerca della tanto desiderata terza stella. Decide così di chiedere un’altra opportunità di lavoro al suo vecchio amico Tony (Daniel Brühl), stimato manager del Langham Hotel con annesso ristorante di lusso. Per tornare a far apprezzare i suoi piatti, Adam raduna così parte della sua vecchia squadra che comprende Max (Riccardo Scamarcio) appena uscito di galera e Michel (Omar Sy) suo ex sous-chef a Parigi, con l’innesto di Helene (Sienna Miller), talentuosa chef che Adam strappa alla concorrenza. Nella sua rincorsa al prestigioso riconoscimento, Adam dovrà vedersela con la sua stessa ossessione per il perfezionismo e con colleghi agguerriti, in primis con lo chef di successo Reece.
Ad arricchire il già corposo ‘menu’ cinematografico di pellicole gastronomiche arriva ora un cuoco in cui ‘brucia’ la ricerca di riscatto (il titolo originale Burnt ovvero ‘Bruciato’ suona molto meglio della versione italiana Il sapore del successo). Potrà sembrare scontato dire che per John Wells (regista di The Company Men e I segreti di Osange County) la scommessa era ardua da giocare in partenza, nonostante la penna di Steven Knight al suo servizio in fase di sceneggiatura.
Adam Jones è l’ultimo erede di tanti illustri predecessori, a partire dall’ormai mitico topolino di Ratatouille, passando attraverso il convincente cuoco italiano in terra tedesca Sergio Castellitto, capace di risollevare una collega in crisi d’identità attraverso memorabili Ricette d’amore, fino ad arrivare al giovane chef indiano capace di amalgamare sapori e odori di cucine geograficamente lontane protagonista della recente commedia etnico-gastronomica Amore, Cucina e Curry di Lasse Hallström (la sceneggiatura è ancora di Steven Knight).
La macchina da presa si muove agile e veloce tra piani cottura e impiattamenti da fotografia, tra pentole e mestoli, rendendo alla perfezione l’isterismo che anima le cucine degli chef stellati. Il resto lo fa lo charme di ambienti chic, primo fra tutti il celebre ‘”Langham Restaurant” di Londra. Ma, pur tra tanta bellezza per gli occhi, alla fine dei conti, quello che resta in bocca è l’impressione di un piatto non abbastanza sapido, come una torta non perfettamente lievitata o una salsa dal non perfetto equilibrio di sapori.
Resta la storia della ricerca di redenzione, della difficile risalita dopo una rovinosa caduta, insomma la classica parabola incentrata sulle seconde occasioni che la vita può offrire. Con una morale piuttosto scontata: ovvero quell’innegabile verità che spesso nella vita solo l’unione fa la forza, in cucina come in altri luoghi, perché l’aiuto degli altri può essere fondamentale per risalire la china, anche se si hanno gli occhi azzurri e il fascino cool di Bradley Cooper, divo capace di restare affascinante sia con giacca di pelle a cavallo di una moto, sia con la divisa da chef tra i fornelli.
Al di là delle pecche di sceneggiatura e di regia (perché nessuna delle storie collaterali che vengono accennate nella prima parte viene poi sviluppata nella seconda?), il film vale essenzialmente per la parata di stelle che mette in campo. Fascino yankee di Cooper a parte, ecco accanto a lui una deliziosa ‘sous chef’ che ha il viso angelico di Sienna Miller, aiuti chef che hanno i volti di Omar Sy e Riccardo Scamarcio, un altezzoso chef stellato interpretao Matthew Rys, e un manager risoluto ma gentile interpretato con la consueta classe da Daniel Brühl (il migliore tra i comprimari). Aggiungete guest star del calibro di Emma Thompson nel ruolo di una psicoterapeuta, Uma Thurman in quelli di una celebre critica gastronomica, Alicia Wikander nei panni di una sensuale ex fiamma del protagonista e il menu è completo.
Peccato però che il nostro chef alla ricerca di riscatto si prenda un po’ troppo sul serio, senza dare il giusto risalto al valore dell’immenso potenziale nascosto dietro un perfetto lavoro di squadra.
Solo così la magia di sapori e odori possono unire le persone attorno a un tavolo nel nome del piacere dei sensi: perché dietro a un menu stellare spesso c’è la condivisione della passione per il proprio lavoro di un grande team.
Con buona pace del narcisistico ego di tante star di ristoranti pluristellati, vittime della loro stessa ambizione.
Elena Bartoni