L’abbiamo fatta grossa – Recensione
Due anime diverse della comicità, due caratteri opposti, due talenti diversi ma complementari e amalgamabili. Non c’è dubbio: Carlo Verdone e Antonio Albanese formano una coppia comica perfetta e a testimoniarlo è la loro prima commedia che li vede recitare uno al fianco dell’altro, per la regia del sempreverde comico romano.
Per L’abbiamo fatta grossa si sono sprecate le etichette: dal noir in chiave comica, al buddy movie, alla spy story rocambolesca. Ma sostanzialmente di pura e semplice commedia degli equivoci si tratta.
La storia è quella di due disperati, due uomini maturi ‘alla deriva’ e senza il becco di un quattrino. Verdone è Arturo Merlino un detective privato abbastanza sfigato (ridotto a occuparsi essenzialmente di rintracciare animali domestici smarriti) che viene coinvolto dall’attore smemorato (e per questo spesso disoccupato) Yuri Pelgatti in un’indagine per provare l’infedeltà della ex moglie. Yuri assume Arturo credendolo un super investigatore ma il detective un po’arrugginito non ne fa una giusta. E così, a causa di un’ intercettazione alquanto maldestra, i due spiano la conversazione sbagliata ed entrano in possesso di una misteriosa valigetta che contiene un milione di euro in banconote da 500. Da qui una serie di rocambolesche avventure che coinvolgeranno la strana coppia, perché i ‘proprietari’ del denaro non sono affatto delle ‘personcine’ tranquille e perbene.
Partiamo da una certezza. Sul perfetto amalgama tra i due purosangue della comicità nulla da eccepire, Verdone e Albanese animano una serie di gag con grande equilibrio senza che nessuno dei due scavalchi mai l’altro. Se il comico romano è sempre attento nel venare di malinconia il suo investigatore privato che è ridotto a vivere a casa della vecchia zia un po’ fuori di testa (convinta che il marito defunto da anni sia ancora presente in casa) e a rintracciare gattini smarriti per miseri compensi, Albanese attinge al suo talento dell’istrionismo e dell’improvvisazione per dar vita a un attore perennemente disoccupato, pronto a tirar fuori le sue caratterizzazioni più riuscite (imperdibile il suo travestimento da frate domenicano che parla come un mafioso meridionale per intimorire una volontaria responsabile di un centro di raccolta di indumenti per mendicanti).
Ma, a far da supporto all’ottima simbiosi tra i due attori forse ci si poteva attendere un copione più forte e un numero maggiore di situazioni comiche.
L’abbiamo fatta grossa resta comunque un esempio di cinema che si basa sull’osservazione comica di una realtà romana animata da una serie di “caratteri” sempre validi sul piano della comicità. Ed ecco i tic, le manie, i vizi, i viziacci (la sempreverde corruzione) dell’italiano medio, oltre a una gustosa autocitazione del comico romano (quel “so’ greci” infilato in un battuta che ricorda le proverbiali olive greche di Borotalco).
La “sterzata” di cui ha parlato Verdone presentando il film è più che evidente. Mentre nei suoi ultimi film si fermava a una realtà sostanzialmente borghese, intento ad occuparsi di problemi legati alle disastrate relazioni sentimentali, ai padri separati, alle difficoltà derivate dagli scontri generazionali tra genitori e figli, questa volta Verdone amplia lo sguardo a ciò che lo circonda. Si esce così dagli appartamenti (e dagli studi psicoanalitici) e si va per le strade di una capitale filmata in modo inconsueto, puntando su luoghi difficilmente frequentati dal cinema. E’ il caso di quartieri come Monteverde vecchio, Castrense, Nomentano e di luoghi particolari e poco conosciuti come il Bar Tevere di Testaccio, un luogo dal sapore fortemente pasoliniano (evidente omaggio del regista a una Roma che non c’è più). Il risultato è una città fotografata splendidamente da Arnaldo Catinari con toni pacati e senza macchie di colore.
Le scene più riuscite, in cui la sintonia tra i due funziona alla grande, sono i momenti di fuga (imperdibile la scena della sedia a rotelle), le gag (esilarante la sequenza dei due pasticcioni nel solarium), i bisticci (la ricerca della combinazione per aprire la valigetta).
I momenti di stanchezza, dovuti a una durata un po’ eccessiva per una commedia degli equivoci (accadono molte cose nel corso di quasi due ore), non sporcano più di tanto il risultato che resta comunque piacevole. Il “nuovo” Verdone che aggiorna il suo talento comico e lo rafforza con l’innesto di una spalla d’eccellenza può quindi essere promosso.
Dietro a un plot da divertente spy story piena di equivoci e velata da un accenno finale di critica sociale, quello che davvero traspare dietro a L’abbiamo fatta grossa è un mondo alla deriva, popolato da anime sole (oltre ai due protagonisti, la vecchia zia vittima di visioni), disperate (i due non riescono a cambiare una banconota da 500 euro, un taglio che in molti confessano di non avere mai visto), di aspiranti cantanti liriche che lavorano in bar di periferia, oltre che dai soliti politicanti disonesti (loro sì abituati ai tagli grossi).
Accanto ai due protagonisti, spiccano per cristallino talento l’impeccabile Massimo Popolizio (questa volta davvero “elegante”) e la sorprendente cantante lirica georgiana Anna Kasyan, considerata una dei soprano più promettenti della sua generazione.
E chissà che la ‘strana coppia’ Verdone-Albanese non torni nel prossimo futuro sui nostri schermi a… combinarla grossa.
Elena Bartoni