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Il mio grosso grasso matrimonio greco 2 – Recensione

Opà! Matrimonio grasso e (molto) greco, capitolo secondo.
Rieccoli qua, i Portokalos, la grossa e chiassosa famiglia greca, sempre più grande.
Sono passati tanti anni dal loro matrimonio ma Toula e Ian sono sempre molto innamorati. Ora però le preoccupazioni rischiano di farli allontanare. In testa ai grattacapi di Toula c’è la figlia diciassettenne Paris (Elena Kampouris) con cui è spesso in conflitto, ma anche i suoi anziani genitori, Maria e Gus. E’ sempre più difficile per Toula trovare tempo per se stessa e per il marito. Per Toula e Ivan, Paris è tutto e ora è un problema lasciarle fare le sue scelte (in primis dove andrà al college) senza soffocarla con le tradizioni di famiglia o con le loro aspettative sul suo futuro. In cima alla lista delle aspettative del nonno Gus, c’è ad esempio il desiderio che la ragazza trovi un fidanzato e futuro marito rigorosamente greco.
Ma anche i genitori di Toula, Maria e Gus, hanno i loro problemi: hanno appena scoperto che il loro matrimonio non è valido perché il contratto non fu firmato a suo tempo dal sacerdote. Maria approfitta della situazione per mettere in discussione il suo rapporto con Gus, stufa dei comportamenti da burbero di suo marito e dei suoi atteggiamenti poco rispettosi.  

Quattordici anni dopo il primo matrimonio greco (era il 2002) e il rumoroso e invadente clan dei Portolakos è di nuovo alle prese con diversi problemi. E così Ian e Toula, coppia mista protagonista del primo film, rischiano di essere a loro volta invadenti con la giovane figliola, in procinto di spiccare il volo verso il College (ma tra Chicago e New York quale sceglierà?). Insomma, Toula rischia di comportarsi proprio come la sua famiglia d’origine.
Dopo il successo del primo film, proprio l’attrice che offre il volto a Toula, Nia Vardalos, è ancora una volta la sceneggiatrice di questo matrimonio alla greca capitolo secondo. Le grane in cui rischia di essere imbrigliata questa volta la simpatica signora greca sono davvero tante: non solo la sua famiglia d’origine ma anche quella che ha contribuito a formare con l’ex ragazzone yankee Ian. Ovviamente si tratta di problemi del tutto risolvibili, anche se con molto rumore.
Ma siamo nel terzo millennio e la grande famiglia orgogliosa delle proprie origini greche e allo stesso tempo ben trapiantata negli Stati Uniti (e le due bandiere che sventolano nei giardini delle loro ville tipicamente americane stanno lì a dimostrarlo) sorride e accetta tutto, anche un matrimonio non valido, un figlio gay, un genero yankee.
La facciata kitsch a forma di tempio greco della villa dei Portolakos apre le braccia a tutti con un sorriso, in nome dell’amore e della comprensione. La protagonista Toula è vittima sorridente di tanto calore, e se la cava alla grande uscendone rafforzata lei, la sua unione col bel marito, il suo rapporto con la figlia studentessa solo in apparenza tentata dalla negazione delle proprie origini.
Il regista inglese Kirk Jones (che ha esordito dietro la macchina da presa con il sorprendente Svegliati Ned) ha gioco facole nel dirigere una squadra degli interpreti che regala simpatia, dai protagonisti Nia Vardalos e John Corbett, ai comprimari Michael Costantine (il burbero papà Gus, ancora Vetril-dipendente), Lainie Kazan (attempata ma riluttante sposa) e Andrea Martin (l’irresistibile zia Voula dispensatrice di vere pillole di saggezza), fino alle new entry di Rita Wilson (che del film è anche produttrice insieme a Tom Hanks) e John Stamos nei panni dei nuovi arrivati nella comunità.
Commedia colorata (di bianco e di azzurro), etnicamente corretta, piena di musica e allegria, in cui si sorride piacevolmente, coccolati da un mare di buoni sentimenti. L’operazione marketing di questo secondo capitolo sulla scia del grande successo del primo è evidente, ma il piacere di veder trionfare ancora oggi, nonostante tutto, tanto amore a tutte le età (molto intelligente la scelta di una coppia decisamente matura come protagonista del nuovo matrimonio da celebrare) e a tutte le latitudini, non è cosa da poco.

Elena Bartoni

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