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Arrival – Recensione – Venezia 73

Numerosi sono i film che hanno visto come protagonisti gli alieni, spesso ritratti come i villain della storia. In Arrival, del regista Denis Villenueve, gli “invasori” acquistano però un altro significato: finiscono per collaborare con l’umanità, ricordando la potenza della comunicazione.

L’atterraggio di queste navicelle aliene sulla Terra pone un quesito: vogliono la guerra o la pace? L’esercito americano chiama in causa un’esperta di linguistica (Amy Adams) per capire se le loro intenzioni siano pacifiche o se, invece, rappresentino una minaccia.

Il primo approccio è ovviamente di conoscenza dell’altro, da entrambe le parti. Villenueve inoltra lo spettatore nelle atmosfere grigie aliene, ed è all’interno della navicella che avvengono gli incontri con Louise, l’esperta di linguaggi. Tolta la tuta arancione che li divide, avviene la vera comunicazione.

Comunicazione ed uso della parola sono l’elemento che più caratterizza il film. L’heptapod, il linguaggio alieno, diventa l’arma o dono che aiuta l’esperta a comprendere il futuro ed è così che ciò che divideva gli alieni dagli umani, si fa elemento in grado di avvicinarli fino a farli collaborare.

La parola, il nuovo linguaggio, la fiducia nell’altro e nel nuovo, ma molto di più. La potenza di Arrival sta proprio in questo, saper coniugare il genere sci-fi con una storia reale, profonda, ancorata ai rapporti familiari.

Quel senso di famiglia si respira fin dall’inizio. La voce di Louise è la lettera aperta alla figlia e e al pubblico stesso, la prova d’amore di una madre e di una donna che porta avanti le sue convinzioni pensando al futuro dell’umanità così come quello della figlia.

Villenueve, dopo Sicario, con Arrival non delude, regalando un film che ha ben più delle caratteristiche del sci-fi, è profondo, costruito con estrema attenzione ai dettagli, in un crescendo di tensione, ben calibrata per poi stupire alla fine, ma non solo anche emozionare, una caratteristica poco tipica per il genere.

Arrival si contraddistingue per la sua unicità stilistica, ottima la fotografia anch’essa attenta ai dettagli, così come gli effetti speciali, sempre credibili. Un ottimo nuovo esperimento per Villenueve, che non delude affatto.

Alice Bianco

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