La verità sta in cielo – Recensione
Uno dei misteri più grandi della storia italiana degli ultimi decenni: la scomparsa di Emanuela Orlandi, allora quindicenne, avvenuta il 22 giugno 1983.
Roberto Faenza riapre la dolorosa ferita di un caso ancora irrisolto dopo 36 anni ponendo in primo piano l’urgenza di suggerire nuove ipotesi, utili a ottenere risposte alla risoluzione del caso. Seguendo il puntuale racconto di Faenza, costellato da circostanze e reali testimonianze e basato su dossier processuali, il film punta il dito sull’urgenza di una verità definitiva. Quella stessa verità che, con ogni probabilità, come suggerisce il finale del film, è racchiusa in un fascicolo custodito in Vaticano: un documento secretato che sino ad oggi nessun pontefice ha preso la decisione di aprire.
Noti sono gli accadimenti di quel pomeriggio di giugno di 36 anni fa.
Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dal centro di Roma dopo essere uscita dalla sua scuola di musica. Nei giorni seguenti il mistero della sua scomparsa appare subito di grandi proporzioni. Alla famiglia iniziano ad arrivare telefonate di individui dalla misteriosa identità. Col passare dei mesi al sequestro della ragazza si associano una serie di piste ed entrano in gioco personaggi di ogni genere: agenti segreti, sciacalli e mitomani. Fino a che si fa avanti l’ipotesi che dietro al sequestro potessero agire personaggi interessati a ricattare il Vaticano, in relazione a misteriosi flussi di denaro depositati nelle casse dello IOR, banca diretta dal 1981 da Monsignor Marcinkus. Ed è così che, sulla base di una telefonata arrivata a una trasmissione televisiva, i giudici cominciano a seguire le tracce della malavita romana.
Su questa mera cronaca dei fatti, Faenza costruisce il film con l’innesto di alcuni personaggi di finzione.
La verità sta in cielo si svolge ai giorni nostri, quando una rete televisiva inglese, sollecitata dallo scandalo di Mafia Capitale, decide di inviare a Roma una giornalista (Maya Sansa) per indagare su quanto successe quel giorno del 1983. Con l’aiuto di un’altra giornalista italiana Raffaella Notariale (Valentina Lodovini), inviata di noto programma televisivo, che ha scoperto una nuova pista, entra in scena il personaggio di Sabrina Minardi (Greta Scarano). La donna è stata l’amante di Enrico De Pedis detto ‘Renatino’ (Riccardo Scamarcio), il boss dei ‘Testaccini’ che gestiva il malaffare della capitale poi finito sotto i colpi della Banda della Magliana. Proprio i racconti della donna riveleranno scottanti segreti sul sequestro della Orlandi.
Ma è la verità? Quale intreccio incredibile, quale piramide omertosa che tiene sotto scacco la capitale, si nasconde dietro quel rapimento? Tante domande cercano ancora risposta.
Che dietro al caso di Emanuela Orlandi ci fossero inquietanti ramificazioni in un tessuto che coinvolge politica, criminalità organizzata e una parte degli alti vertici della Chiesa era cosa nota da anni e dalle decine di inchieste sfociate in dossier e pubblicazioni.
L’affresco che emerge dal film di Roberto Faenza è una specie di “Guernica italiana”, per usare la definizione data dallo stesso regista, dove bande di malviventi si intrecciano ai vertici del potere politico e finanziario insieme con una parte di alti prelati “più vicini all’inferno che al paradiso”.
Non è casuale la scelta del titolo, La verità sta in cielo, una frase pronunciata da Papa Bergoglio che, in occasione della visita della famiglia Orlandi, disse “Emanuela è in cielo”: in realtà il film ipotizza esattamente l’opposto, ossia che la verità stia in terra, ed attenda solo di venire alla luce.
Tenendosi lontano dal mero documentario e mescolando elementi di finzione a fatti reali, Faenza costruisce un film che è soprattutto un grande atto di coraggio. Al di là delle etichette che gli si possono accostare, La verità sta in cielo cerca il coinvolgimento emotivo dello spettatore immaginando una collaborazione fra una giornalista italiana che lavora da anni in Gran Bretagna e la Raffaella Notariale di “Chi l’ha visto?”. Quest’ultima condivide con la collega preziose interviste e registrazioni effettuate con Sabrina Minardi che mettono in luce il coinvolgimento di De Pedis nella sparizione della Orlandi. Per un’inquietante coincidenza, “Renatino” verrà seppellito nella Basilica di Sant’Apollinare proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela.
Il film ricostruisce con precisione gli eventi, basandosi su ricerche puntuali. E’ lo stesso regista a firmare il soggetto insieme a Pier Giuseppe Murgia e Raffaella Notariale restituendo al pubblico un quadro completo dello stato attuale dell’inchiesta (archiviata dalla Cassazione nel maggio 2016).
Due poteri forti che vengono a contatto, la politica e il suo lato ‘marcio’ e la Chiesa vista nella sua ‘anima del diavolo’: sacro e profano, religione, politica e finanza, si intrecciano in un quadro agghiacciante. Alte sfere ecclesiastiche, banchieri, senatori, tutti in stretto contatto con killer malavitosi, quegli stessi malviventi per cui si dà misteriosamente sepoltura nel pieno centro di Roma in una Basilica dove riposano artisti e monsignori.
Onore al merito del regista torinese, da sempre appassionato di “cold case”, che, al di là di qualche dialogo che sa un po’ troppo di retorica, ha pervicacemente inseguito la volontà di mostrare quel legame malato, quella matassa ingarbugliata che sta dietro al caso Orlandi al fine di arrivare “a percorrere quel metro decisivo per arrivare alla verità” (e la scena finale è un chiaro invito rivolto a Magistratura e Vaticano). Quella verità che è innanzitutto un dovere verso una famiglia spezzata ma anche verso l’Italia intera.
Elena Bartoni