Poveri ma ricchi – Recensione
Natale al cinema fa rima con cine-panettone ma soprattutto con Christian De Sica sul grande schermo. Che si consideri o no Poveri ma ricchi, decima regia di Fausto Brizzi, un cine-panettone, ecco puntuale il De Sica nazionale gigioneggiare per i cinema delle feste, la novità è che questa volta non veste i panni di un borghese benestante in vacanza chissà dove per Natale, ma quelli di un poveraccio che abita in un paese del Lazio e che tira a campare intrecciando mozzarelle.
Le risate arrivano quando lui e la sua ‘scalcinata’ famiglia si ritrovano improvvisamente ricchi.
Ma andiamo per ordine. Danilo Tucci (Christian De Sica) lavora in un caseificio, la sua signora Loredana (Lucia Ocone) fa la casalinga ed è maestra nel fare i supplì, i loro due figli sono Tamara, un’adolescente vanitosa e maniaca dei selfie, e Kevi (che è anche la voce narrante del film) genio costretto a fingersi ignorante per stare al passo con la sua famiglia. Insieme a loro vivono il cognato di Danilo, Marcello (Enrico Brignano) botanico ma nullafacente, e la nonna Nicoletta (Anna Mazzamauro) patita di serie televisive. Un bel giorno, grazie ai classici sei numeri vincenti, i Tucci vincono cento milioni di euro. La decisione di mantenere segreta la vincita tra la popolazione del paese ha durata breve, vista la goffaggine con cui i nuovi ricchi cercano di nascondere il loro nuovo status. L’unica soluzione che resta è scappare a Milano, città che la signora Tucci sognava fin da ragazza. Ma una volta nella capitale meneghina, preso possesso della loro nuova vita, i Tucci si accorgono che i ricchi di oggi non sono più quelli di una volta: non ostentano nulla anzi, sono tutti ‘low profile’, mangiano poco o nulla, sono ecologisti, fanno beneficienza, si tengono in forma, girano con biciclette o macchinette elettriche. Inutile dire che per i Tucci ci saranno molte sorprese.
Il tema è classico, che più classico non si può. Da Miseria e nobiltà in poi il cinema è pieno di contrapposizioni ricchi-poveri. Ma nel terzo millennio le categorie vanno rimesse in discussione. A partire da una caratteristica peculiare del nostro Paese: i ricchi, oggi, non mostrano di essere tali, almeno nelle apparenze, ma si nascondono dietro vite a basso profilo, atteggiamenti ecologisti e regimi salutisti. Per quello che riguarda coloro che ricchi non sono ma ci diventano grazie a qualche sfacciata fortuna, il ‘difetto’, come dire, è radicato da sempre nel DNA italico: la ricchezza si sa, si tende a nasconderla, sia agli occhi del fisco sia a quelli di invidiosi e maligni.
Dalla misera residenza di Torresecca sulla Prenestina i Tucci scappano nella Milano ‘da bere’ (prima in un hotel a cinque stelle poi in un attico iper-tecnologico) e si danno alle spese folli fino a sperperare tutto lo sperperabile in investimenti sbagliati. Per fortuna una ‘mano’ saggia e provvidenziale farà capire loro quali sono i veri valori da conservare. Il film è costellato di gag che vedono in pole position le scene con De Sica e Brignano (ma anche la Ocone è una magnifica cafona).
Liberamene ispirato al film francese di grande successo Les Tuche, Poveri ma ricchi segna un cambio di marcia nella carriera di Brizzi che vira decisamente verso la strada della comicità lasciando da parte il sentimentalismo dei suoi maggiori successi. Tante sono qui le ‘prime volte’ per il regista romano: il primo remake (o meglio adattamento), la prima volta con De Sica e Brignano, la prima ambientazione milanese, la prima collaborazione con il musicista Francesco Gabbani.
Il film è pieno di citazioni: dal titolo-omaggio al cult Poveri ma belli, all’omaggio al primo Vacanze di Natale del 1983 con quella contrapposizione tra i ricchi (cafoni) Covelli e i poveri (cafoni) Marchetti in quel di Cortina (qui a essere poveri e ricchi sono sempre e solo i Tucci), fino all’andirivieni in travestimenti alla Mrs. Doubtfire di Brignano durante una faticosissima cena.
Adattando alla realtà italiana la traccia suggerita dal film francese (in terra d’Oltralpe i ricchi non si nascondono ma diventano volti noti), i ‘poveracci’ di Brizzi sono davvero targati 2.0: la figlia maggiore, Tamara, fa precedere ogni sua uscita con “hashtag”, il figlio più piccolo ha la disgrazia di chiamarsi Kevi (senza la “n” perché il babbo la dimenticò al momento di registrarlo all’anagrafe), la nonna Nicoletta ha la passione per le serie TV e una cotta per Gabriel Garko.
Favola natalizia (il ‘c’era una volta’ del piccolo narratore Kevi è un incipit chiaro) aggiornata al terzo millennio, commedia di costume sui mutamenti dei ricchi (sempre più odiosi nei loro atteggiamenti minimal) e sui cafoni che anche ricchi restano sempre cafoni (“sono solo un poveraccio coi soldi” dice uno di loro), con pennellate di comicità ‘regionale’, Poveri ma ricchi fa quello che deve, intrattenendo, regalando copiose risate e promettendo grandi incassi al botteghino.
Il cast funziona alla grande: in testa il trio De Sica-Brigano-Ocone cui sono affidate le battute più esilaranti del copione (scritto da Brizzi con Marco Martani). Accanto a loro, è da ricordare l’irresistibile nonna di Anna Mazzamauro, la graziosa Lodovica Comello (ex componente del cast del disneyano Violetta) nei panni di una giovane cameriera milanese alla quale è affidata la parte ‘sentimentale’ del film (la liason con Brignano), un perfetto maggiordomo Ubaldo Pantani. Partecipazioni speciali di Giobbe Covatta (sacerdote burino), Gian Marco Tognazzi (imprenditore milanese), Bebo Sorti (chef stellato e naturalmente isterico), Camila Raznovich (esponente dei nuovi ricchi). Completano il quadro le apparizioni di Gabriel Garko e di un sorprendente Al Bano.
In fondo, sembra dire Brizzi con la morale semplice semplice della sua storia dei poveracci di Torresecca amanti dei supplì (e smarriti di fronte al finger food), per rincorrere la ‘felicità’ (si, proprio quella cantata da Al Bano) non servono tanti soldi, ma basta solo essere uniti e solidali sempre, e non solo a Natale.
Elena Bartoni