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Dopo l’amore – Recensione

Dopo l’amore, la frattura, dopo l’amore, il denaro e le liti attorno ad esso.

L’économie du couple, il titolo originale del film, si riferisce a un’economia in senso lato andata in tilt: la coppia non sa più regolare i sentimenti, ma non sa più tenere i propri conti, non sa più dosare le responsabilità di genitori.
Dopo l’amore racconta l’inferno borghese di Marie e Boris che, dopo quindici anni di matrimonio, hanno deciso di separarsi. Il clima è teso fin dalla prima scena tra recriminazioni e rabbia. Marie è nervosa e non sopporta più di vedersi il marito intorno, Boris dal canto suo non perdona alla moglie di averlo lasciato, pur essendo costretto a continuare a vivere sotto lo stesso tetto. L’uomo è disoccupato e trova solo lavori occasionali, quindi non è nelle condizioni di permettersi un altro alloggio. Marie, che ha un lavoro e uno stipendio, ha stabilito delle regole che Boris non rispetta e la tensione è alle stelle. Del clima teso fanno le spese anche le due bambine della coppia: le gemelle Jade e Margaux. Terreno principale di scontro tra Marie e Boris è la casa in cui vivono. Marie, grazie all’aiuto dei genitori, l’ha comprata e quindi ne pretende una quota maggiore, Boris dal canto suo sostiene che il valore della casa sia cresciuto grazie alla ristrutturazione di cui si è fatto carico e pensa che gli spetti la metà della valutazione. La lite è continua e il clima è pesante. Solo dopo aver passato l’inferno, fuori da quella casa, i due troveranno un accordo.
 
L’economia di una coppia viene meno quando si discute sui soldi ma anche sul riconoscimento dell’apporto (non solo finanziario) che ognuno dei due ha dato alla vita coniugale. Una buona ‘contabilità’ (in senso lato) è anche alla base di una buona storia d’amore, sono parole del regista belga Joachim Lafosse, abituato a dissezionare le relazioni umane nei suoi film (come in Proprietà privata e nel più recente Les chevaliers blanc), che questa volta ‘chiude’ il suo dramma dentro un interno borghese, teatro di uno scontro durissimo.
Di chi è quella bella casa con grandi vetrate che si affacciano su un piacevole giardino e a chi spetta la fetta maggiore? Oppure sarà un equo metà e metà?
Le due bambine figlie della coppia si trovano chiuse in mezzo a una lotta senza esclusione di colpi tra Marie che lavora e paga il mutuo e Boris che in quella casa ci ha faticato molto. Le umiliazioni di cui l’uomo si sente oggetto sono palpabili anche perché non riesce a mantenere le due figlie come vorrebbe, mentre Marie è sempre nervosa e non sopporta più neanche la vista quell’uomo che pure aveva amato.
Presentato nella sezione ‘Quinzaine des realisateurs” dell’ultimo Festival di Cannes, Dopo l’amore è un dramma chiuso in uno spazio limitato, un’opera che fa riflettere sui tanti tristi ‘finali’ di amori. L’amore di Marie e Boris è come tanti, un amore che non si ripara, un sentimento cui si è deciso di scrivere la parola fine. “Una volta si riparava tutto, si riparavano calzini, frigoriferi, adesso al primo problema si butta, compreso nella coppia”, osserva laconicamente la madre di lei (una Marthe Keller perfetta): una verità semplice ma spiazzante messa in faccia allo spettatore da una testimone vicina ai protagonisti. Ed è un dato di fatto che fa pensare, oggi nell’epoca dell’usa e getta applicato non solo agli elettrodomestici ma anche ai sentimenti.
Il film ha il pregio di mantenere una tensione costante e di riflettere un equilibrio perfetto tra le ragioni dei due contendenti di cui si disegnano i caratteri senza mai prendere le parti di qualcuno. Con un fine lavoro di fioretto, si sferzano colpi all’altro che si è tanto amato ma di cui si conoscono alla perfezione i lati deboli. 
Confezionando un film diretto, acuto e a tratti commovente, il regista ha confessato di aver messo nel film molto di autobiografico, la separazione dei suoi genitori prima, la sua poi. Come nel suo precedente Proprietà privata, il terreno di scontro è quello della famiglia e dei suoi meccanismi. E viene il groppo alla gola davanti a una delle scene più belle del film: quel dolceamaro commiato alla felicità dei giorni passati dei due ex coniugi che danzano con le bambine sulle note di “Bella” di Maître Gims. Un momento bello e straziante prima di un futuro pieno di dubbi e paure.
Perfetti i due interpreti: un’intensa Bérénice Béjo e un Cédric Khan (attore oltre che regista di film importanti) grandissimo nell’arricchire di delicate sfumature il difficile personaggio di Boris.
L’economia di una coppia è fatta di tante cose ma soprattutto di amore, un amore che non si può conteggiare insieme al valore di una casa, un sentimento da cui sono nate due figlie che soffrono per colpe non loro e a cui sono riservati piccoli istanti di apparente serenità. E alla fine di tale inferno chiuso tra quattro pareti (dove si reclama il proprio spazio perfino sugli scaffali di un frigo), la via d’uscita è all’esterno, dopo un incidente che costringe i due protagonisti alla risoluzione.
Il finale del film sancisce l’accordo tra i due, al di fuori dello spazio asfittico della casa terreno di scontro. Dopo l’amore, c’è ancora la vita e qualcosa di diverso da costruire.
 
Elena Bartoni          
 

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