La La Land – Recensione (2)
‘La La’ come il motivetto di una canzone, ma anche ‘LA’ come Los Angeles la città degli angeli ma soprattutto delle stelle del cinema e della musica, città (o terra) dei sogni.
“Dedicato ai folli e ai sognatori” così recita la dedica del film. Più chiaro di così…
Gli intenti di La La Land sono evidenti fin dal titolo. Le immagini e la musica completano la magia.
Nella terra dei sogni, Los Angeles appunto, si sono appena trasferiti due giovani sognatori: Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling). La prima è un’aspirante attrice che si guadagna da vivere servendo cappuccini alle star del cinema, il secondo, Sebastian, è un musicista jazz che sbarca il lunario facendo il piano bar nei ristoranti ma sogna di aprire un club tutto suo dove si suona solo il jazz puro di una volta. Ogni tanto Sebastian si esibisce nelle feste con una cover band di hit anni Ottanta. In una di queste feste incontra Mia. Dopo alcuni incontri, tra i due esplode una passione nutrita da aspirazioni comuni e da una complicità fatta di incoraggiamento reciproco. Ma il loro rapporto viene minacciato proprio dai sogni che condividono e dalla ricerca del successo.
Il potere del sogno, un folle sogno.
L’incipit di La La Land è in effetti un folle sogno: siamo su un tratto della freeway sopraelevata su Los Angeles, sole a picco e ingorgo, tutti i giovani alla guida delle auto in coda ascoltano musica finché, dalle autoradio nasce una coreografia sempre più grande e coinvolgente. Ballerini che danzano fuori dalle auto, sui tetti, i parabrezza e i paraurti: va in scena il sogno, l’aspirazione a diventare qualcuno, o solo il desiderio di essere felici. La scena è una lontana citazione (un analogo balletto su un ponte) dell’inizio del musical Les Demoiselles de Rochefort (in Italia uscito come Josephine nel 1967 interpretato da Catherine Deneuve e dalla sorella François Dorleac) di Jacques Demy, il regista della New Wave francese che Chazelle ha dichiarato come fonte d’ispirazione, un artista che interruppe i film impegnati degli anni Sessanta con commedie musicali colorate. Lo stesso Chazelle ha ammesso che Demy è la sua unica influenza, non solo per La La Land ma anche per le altre sue opere: “Per me non esiste film più formativo di Les Parapluies de Cherbourg” (film a cui il regista si è ispirato anche per il particolare uso del colore).
Classicità e innovazione. Tra questi due estremi si muove La La Land, sorprendente musical classico ma nuovissimo allo stesso tempo, frutto della fantasia e della creatività del giovane regista Damien Chazelle al suo terzo film dopo l’interessante esordio con Guy and Madeleine on a Park Bench (storia di un trombettista jazz e una cameriera ballerina) seguito dal sorprendente Whiplash, dramma a ritmo di jazz, vincitore di tre premi Oscar.
Ricreare la magia e il grande lavoro del vecchio sistema del musical hollywoodiano, questa è stata la scommessa del regista. Il risultato è una sinfonia perfettamente coordinata tra set, canzoni, balletti, sceneggiatura, colori.
Un atto d’amore per Hollywood, dove un sogno ha un valore grande, indipendentemente dalla sua realizzabilità. “Sognare conviene, qualunque sia questa convenienza. Non è neppure necessario che i sogni si avverino. Se cerchi un messaggio del film, ecco è questo” sono parole di Chazelle.
Uno stile vintage ma modernissimo, uno straordinario mix, vita vera “pompata” dentro il sogno di un musical. E’ lo scarto tra sogno e realtà. E’ quell’attimo di sospensione tra fantasia e realtà (alle fine dei numeri nei vecchi musical c’è sempre un momento di silenzio, come che si cercasse di affrontare la vita vera), è quella ‘dissonanza’ tra vita vera e vita sognata. I due protagonisti realizzeranno “in qualche modo” i loro sogni ma non nel modo o nel momento in cui avrebbero voluto. Ecco lo scarto, la modernità: amore e successo, sentimenti e realizzazione professionale spesso non camminano insieme, non hanno gli stessi tempi, non hanno la stessa sincronia di un numero musicale. Puoi vivere un amore che influenzerà tutta la tua vita ma che non durerà tutta la vita. Ecco lo stacco tra la vita vera e quella sognata, un balzo, un gradino fatale. Ecco l’accordo non perfetto, ‘incerto’ come lo ha definito il regista.
Quello che rende straordinariamente attuale questo musical è quel sottile velo di malinconia che percorre il suo finale. Perché il successo spesso nella vita ha un prezzo e comporta rinunce e privazioni. E questa malinconia è la stessa del regista per il cinema di una volta e per la vecchia musica jazz, suoni puri e non contaminati.
I due interpreti sono la ciliegina sulla torta, Emma Stone, luminosa ed eterea presenza (della sua aura ‘magica’ si era già accorto Woody Allen scegliendola come protagonista di Magic in the Moonlight) e Ryan Gosling, un perfetto fascinoso musicista sognatore dei nostri tempi: due anime in balia di passioni e sogni che proprio il successo è destinato a separare.
Partecipazione speciale della star della musica John Legend nei panni di Keith, il musicista che chiede a Sebastian di entrare nella sua band emergente, “The Messengers”, portandolo al successo (che bello il brano “Start a Fire” di cui Legend è coautore, suonato dalla band nel film).
Alla realizzazione di questo universo sospeso tra sogno e realtà (che vanta 14 nomination agli Oscar e 7 Golden Globe già conquistati) fondamentale è stato l’apporto della squadra di professionisti che ha lavorato con Chazelle: Justin Hurwitz per le musiche, Mandy Moore per le coreografie, Linus Sandgren per la fotografia (sono state usate lenti anamorfiche e pellicola 35 millimetri per richiamare il passato), David Wasco per le scenografie (che luoghi evocativi sono il Lighthouse Cafè, storico jazz club, e il Griffith Park Observatory di Gioventù bruciata).
La La Land è pura magia, vera delizia per gli occhi, un volo capace di traghettare lo spettatore dalla realtà al sogno. E che questo succeda ancora oggi al buio di una sala è un piccolo miracolo.
Elena Bartoni