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Elle – Recensione

Un film spiazzante, un tema delicato come quello dello stupro trattato in modo anticonvenzionale, uno strano thriller che gioca in modo perverso sul rapporto vittima-carnefice, questo e molto altro è Elle di Paul Verhoeven ma soprattutto ‘di’ Isabelle Huppert.
Il film si regge interamente sulla straordinaria interpretazione dell’attrice francese, l’unica che poteva prendersi sulle spalle il peso di un ruolo delicato e difficilissimo come quello di Michèle, affermata donna in carriera che subisce uno stupro all’interno delle mura di casa sua e reagisce in modo inconsueto. Subito dopo la violenza, la donna si comporta come se nulla fosse: ordina del cibo pronto per telefono e riceve la visita del figlio, il giorno dopo va al lavoro e continua a gestire la sua società di videogames con solito pugno di ferro. Ma, sotto le apparenze di una vita quotidiana che continua nonostante tutto, Michéle cerca di risalire all’identità del suo aggressore.

Uno stupro trattato in questo modo non si era mai visto. Siamo lontani da qualsiasi ombra di denuncia, di politicamente corretto, di tutela delle donne indifese vittime di aggressioni. Elle di Paul Verhoeven è una strana creatura cinematografica: un po’ thriller, un po’ noir, un po’ dramma, un po’ commedia. Si toccano temi spinosi e importanti come la colpa, il perdono, l’espiazione, la vergogna, si parla di perversioni (piccole e grandi), di moralità, di libertà.
Appare immediatamente chiaro come Verhoeven abbia compiuto (un po’ per volontà, un po’ per necessità) scelte decisive per la riuscita del suo film, in primis l’ambientazione francese, la diva francese più libera e talentuosa che ci sia, il cambio di titolo (e diverse modifiche) rispetto al romanzo da cui il film è tratto (“Oh… ” di Philippe Dijan).
Il ruolo è sufficientemente disturbato e fuori dagli schemi per essere perfetto per la Huppert, corpo trasgressivo e tendente all’alienazione per un gran numero di maestri del cinema.
Elle è ‘lei’, l’immensamente enigmatica Isabelle, l’unica attrice al mondo in grado di incarnare un ampissimo ventaglio di disfunzioni psichiche (basti guardare la sua filmografia) e l’unica capace di portare sullo schermo un personaggio così estremo, energico, duro, perverso. Meritati i premi per la diva francese, un Golden Globe e un César, oltre a una nomination all’Oscar.
Ma Elle sa guardare anche oltre, al rapporto della protagonista con la sua cerchia, familiare e professionale: il suo ex marito, suo figlio, la nuora, i dipendenti, la madre, la sua migliore amica, il suo amante (marito della sua migliore amica). Quello che ne esce fuori è una strana commedia nera ricca di battute al vetriolo e di situazioni imbarazzanti (la cena di Natale è un esempio perfetto).
Il lavoro di Verhoeven questa volta è stato quello del fine cesellatore: di psicologie, di luoghi, di situazioni. L’ambiguità è la cifra più evidente del film, come la sua protagonista. Michèle è una donna dura, solo in apparenza fredda e razionale, una donna che ha vissuto un forte trauma infantile (una notte di 40 anni prima, suo padre aveva assassinato 27 persone preda di un raptus di follia) ma che riesce a instaurare un rapporto ambiguo col suo aggressore, quasi un legame di dipendenza fisica e psicologica. Michèle si rifiuta di essere una vittima e di comportarsi come tale: è una donna aggressiva (basti guardare come si comporta con suo figlio ‘bamboccione’ e con la sua detestata fidanzata), che sa esprimere rancore ma che sa giocare con un rapporto sado-masochista.
Ennesimo ritratto di donna forte (come tante altre nella filmografia del regista), ma lontano dalla Catherine Tramell di Basic Instict o dalle eroine di Robocop e Atto di forza, Elle è il superamento di un certo tipo di donna (compresa quella del film d’autore europeo) e, se vogliamo, la sua evoluzione.
Questa volta c’è il superamento di sentimenti come la colpa e la vergogna, della morale cattolica e borghese, delle grandi e piccole ipocrisie presenti anche in società libere e laiche come quella francese (che il regista ha scelto con coscienza dopo aver compreso l’impossibilità di girare il suo film negli Stati Uniti e con una protagonista americana).
Opera ricca di sfumature, capace di giocare con il tema del doppio in maniera sottile, in primis con l’atteggiamento duplice della protagonista: pronta si ad andare avanti con la sua vita come se niente fosse dopo un’atroce violenza, ma anche ferma nella volontà di scoprire l’identità del suo aggressore. In questo senso felice si è rivelata la scelta di David Birke in fase di sceneggiatura, che ha apportato significative modifiche al romanzo, inserendo scene nuove come la confessione che Michèle fa del crimine di suo padre e cambiando la professione della protagonista che da sceneggiatrice diventa responsabile di una società di videogiochi.
E proprio il videogame è una delle invenzioni più indovinate nella riscrittura del film: un gioco di violenza che, nella derivazione pornografica fatta da qualcuno dello staff della società diretta da Michèle, diventa emblema di una violenza subita e del suo superamento. E’ qui che il regista gioca con se stesso e con le creature extra-umane del suo cinema dai grandi incassi, con il corpo umano e con la sua mutazione digitale.
Ambiguo, ironico, violento, amaro, scomodo, capace di alternare luce e ombra, violenza e pacificazione, normalità e follia, Elle è un film provocatorio, dal finale aperto (volutamente lasciato alla libera interpretazione dello spettatore), a tratti spietato, capace di andare oltre le convenzioni, le ipocrisie, le etichette, i generi, laddove resta solo la vita da vivere (“e la vita non è un genere” ha affermato Verhoeven), libera, a dispetto di tutto e tutti.

Elena Bartoni   
 

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