Recensione: Prince of Persia e le sabbie del tempo
“If I could turn back time “. Recitava così il ritornello di una famosa canzone di Cher. Se potessi tornare indietro nel tempo, cosa farei? Provate a chiederlo a Jake Gyllenhaal, alias il principe Dastan nel nuovo film della Disney, prodotto da Jerry Bruckheimer, “Prince of Persia – Le sabbie del tempo”. In un’epoca in cui la spettacolarizzazione del videogame raggiunge livelli quasi cinematografici, è Hollywood stessa che si appropria delle sceneggiature dei videogiochi e le trasforma dal digitale alla celluloide. “Prince of Persia” è l’ennessimo prototipo di questo “travaso”. Videogame nato dalla mente di Jordan Mechener nel “lontano” 1989 con lo scopo di esplorare nuovi scenari per questa nascente forma di comunicazione audiovisiva. Con una trilogia all’attivo, e diversi capitoli successivi, nell’arco di un ventennio questa saga si è fatta strada nel mondo dei videogames diventando, dopo Final Fantasy, uno dei giochi multipiattaforma più celebri al mondo, attirando così anche l’attenzione di Jerry Bruckeimer. Il multiproduttore ha visto nella possibilità di condurre lo spettatore verso luoghi inesplorati e affascinanti, come i deserti arabici che compongono l’universo persiano, una possibile alternativa e controparte al successo strabordante dei “Pirati dei Caraibi”. Non ci stupisce allora la scelta di far uscire il primo capitolo di questa nuova saga cinematografica proprio nel 2010, dato che il quarto capitolo di Jack Sparrow & Co. “Pirates of the Caribbean: On Stranger Tides” sarà distribuito nelle sale di tutto il mondo a partire dal 20 Maggio 2011. Un caso l’alternanza di un anno esatto fra i due? Probabile. Come un’altra fortunata concidenza sono le movenze che il Principe Dastan (interpretato da un rinvigorito e migliorato Jake Gyllenhaal che per la parte ha messo su ben cinque chili di massa muscolare, oltre ad una cospicua crescita dei suoi celebri capelli a spazzola) del tutto simili non solo al personaggio dell’omonimo videogame, ma anche a quelle del protagonista di “Assassins Creed”, altro game distribuito dalla Ubisoft, la stessa casa di distribuzione del videogioco ambientato in Persia. Nonostante queste strane analogie e somiglianze, dettate forse da una mera e mistica logica di mercato, il film è molto improntato sulla velocità d’azione, grazie ad una mescolanza di stili e riprese, e all’utilizzo degli stop motion nelle scene di battaglia. L’uso dei visual effects, ben strutturati e coinvolgenti, è sapientemente alternato alle scene dove il parkour, l’arte di saltare da un ostacolo all’altro in contesti urbani, la fa da padrone. Disciplina per cui Gyllenhaal si è allenato molto, per ridurre l’uso di controfigure che non sono state minimamente utilizzate invece per Gemma Arterton, che nel film interpreta la fiera principessa Tamina, custode del pugnale che fa scorrere le sabbie del tempo. Questo perché l’ex bond girl nella vita voleva diventare una stuntgirl, non un’attrice. L’uso dell’ironia si avvicina pericolosamente a quella dei Pirati, rendendo quasi inevitabile un paragone, ma non raggiunge lo stesso spessore, anche se Alfred Molina riesce con il suo personaggio a regalare molti momenti di piacevole diletto. Sir Ben Kingsley è invece molto diverso dal personaggio che gli valse l’Oscar nel 1982, Nizam, il perfido zio del principe non ha nulla a che vedere infatti, né fisicamente tanto meno come interpretazione, con Gandhi. Il marchio Disney non compare solo nei titoli ma è in trasparenza continua per tutta la durata del film, grazie alla promulgazione dei buoni sentimenti e dell’unione fraterna, intesa non come semplice unione genetica ma come vera e propria fratellanza che va al di là degli effettivi legami di sangue. Inoltre l’amore fra i due protagonisti è più un’intesa mentale che fisica, dovuta in parte al continuo scontro tra due caratteri forti. Nel complesso “Prince of Persia” è un film dinamico, attivo e divertente, che non deluderà il pubblico dei giovanissimi e gli appassionati del videogames, e che nella scelta di un superpalestrato Jake Gyllenhaal strizza l’occhio al pubblico femminile, tendenzialmente meno avvezzo a questo genere cinematografico.
Eva Carducci