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Recensione di: Fargo

Della cronaca nera. Il confronto dei Coen con la realtà dei fatti e i fatti reali danno vita al non-luogo Fargo, il niente dove molte cose possono succedere e dove di fatto succede proprio tutto senza che succeda niente. A inizio film i Coen spendono più parole del normale per comprovare la verità della Storia, ma si smentiscono a fine titoli di coda: è tutto inventato. Non l’unitarietà della storia è vera, ma i singoli fatti di cronaca lo sono, legati insieme fino a formare la non-storia (una reazione a catena di non-cose che non-sarebbero dovute succedere) tragicomica, ambientata nel nulla di nome Fargo, setting neutro (ma non neutrale) e ipso facto universale dove ad accadere è l’imprevisto di nome uomo, la macchia di sangue sulla neve immacolata, l’assoluto vuoto che occupa lo scheletro della nostra contemporaneità andata in pezzi lasciando in piedi solo macerie accumulate a casaccio per riempire quel vuoto. Un vuoto puntellato vanamente da un altro non-personaggio, quasi un deus ex machina post-moderno o una Madonna secolarizzata, ovvero l’investigatrice incinta che pone fine alla vicenda solo per la stupidità degli altri e non per il suo intervento diretto: la catena degli eventi, una volta innescati è inarrestabile. 
A questa falsa, presunta, immagine di eroina, prototipo dell’investigatore McCarthyano di Non è un paese per vecchi non rimane nemmeno la morale, i cui resti sono una carcassa di informe silenzio davanti alla televisione accesa e che non può far altro che annunciare la stupidità (o la presunta follia) dell’essere umano e l’avvento di un bambino in questo mondo inesorabilmente svuotato dall’interno.
I Coen con questo film firmano il loro capolavoro, pellicola faro per tutta la loro splendida filmografia: gli farà eco ad anni di distanza, A serious man, considerabile come la loro rivoluzione Copernicana, il punto di arrivo (ad oggi) di una analisi spietata della contemporaneità, sempre più priva di senso nel suo lento e inesorabile dispiegarsi, che ha avuto in Fargo il suo fulgido e più compiuto inizio.

Lorenzo Conte

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