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Recensione di: I fantastici viaggi di Gulliver

Con lo pseudonimo di Dr. Lemuel Gulliver, Jonathan Swift, nel 1726 raccontò le incredibili avventure di un naufrago in terre “misteriose”. L’idea di proporre una versione moderna del, forse, più classico dei romanzi, trasformandola in una commedia per famiglie (col l’aggiunta del 3D, che riscuote l’approvazione dei più piccoli), ha a suo vantaggio il fatto di poter disporre dell’attore più “infantile” di Hollywood. Jack Black (voce protagonista in “Kung Fu Panda” e insegnante improvvisato in “School of Rock”) è Lemuel Gulliver, un addetto alla posta di un quotidiano di New York. Dopo che Gulliver ottiene con l’inganno l’incarico di scrivere un pezzo sul triangolo delle Bermuda, si reca sul posto, dove viene trasportato in una terra sconosciuta, Lilliput. In questo fantastico nuovo mondo, Gulliver diventa finalmente una personalità importante, aumentando sia in dimensioni che in ego, soprattutto dopo che inizia a descrivere racconti mirabolanti, prendendosi il merito delle maggiori invenzioni del suo mondo e collocandosi al centro degli eventi storici più rilevanti. La posizione di Gulliver migliora ulteriormente quando conduce i suoi nuovi amici in una coraggiosa battaglia contro i loro storici nemici. Ma quando Gulliver perde e mette in pericolo i lillipuziani, deve trovare il modo di aggiustare la situazione. Alla fine, Gulliver diventa un vero gigante tra gli uomini solo quando capisce che è la grandezza interiore quella che conta veramente. Il progetto del film, in cantiere per ben due anni, vede fra i produttori lo stesso Jack Black e si avvale dei “navigati” sceneggiatori Joe Stillman e Nicholas Stoller, che insieme al  regista Rob Letterman (che ha diretto fra gli altri “Shark Tale” e “Mostri contro Alieni”) donano al film quella giusta leggerezza, tralasciando, giustamente, le pretese di avere lo stesso tipo di critica mordace alla società del Settecento, grande punto di forza del romanzo.

Serena Guidoni

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