Recensione di: Michael Clayton
Probabilmente quando Hitchcock spiegava la prima regola base della suspance (che più o meno suona così: “lo spettatore sa qualcosa che il personaggio non sa”) Gilroy era assente, o se c’era dormiva. Non si spiegherebbe altrimenti perchè proporci una prolessi del momento topico del film con tanto di risoluzione (il protagonista si salva) salvo poi rifilarci la stessa sequenza ma con un montaggio frenetico, quando: A) lo spettatore sa benissimo che il protagonista si salverà B) allo spettatore, sapendo nello stesso momento causa (una bomba a tempo nella macchina) e soluzione del problema, non interessa più se e quando questa bomba esploderà (la bomba ha un difetto e non esplode a comando). Vedere quindi i due killer tentare in tutti i modi di far esplodere la bomba e, alternato, il protagonista tranquillo in macchina in una escalation di montaggio non provoca non dico la suspance, ma nemmeno un volt di tensione; al massimo un paio di risate involontarie.
Ma d’altra parte dobbiamo ringraziare Gilroy per questo clamoroso errore di forma, che nemmeno il più basso mestierante del cinema sbaglierebbe, perchè ci dà occasione di riempire ben metà recensione e di parlare per più di due righe e mezzo del suo film. Già perchè cosa si può dire di Michael Clayton se non che è l’ennesimo legal thriller a sfondo multinazionale cattiva che avvelena migliaia di cittadini e se ne infischia, genere su cui il cinema d’intrattenimento televisivo americano ha campato di rendita per anni? Forse un film del genere (a patto che fosse ben fatto) poteva riscuotere una qualche attenzione una decina di anni fa, riempiendo qualche rivista di cinema di frasi come: “un taboo che si infrange” et similia. Ma ora? Nemmeno il protagonista interpretato da Clooney, citato come vero punto di forza d’innovazione del film, non va oltre il classico stereotipo del tipo dedito al suo lavoro, per quanto immorale, salvo poi farsi mordere dalla coscienza e salvare capre e cavoli con l’aiuto del classico e onnipresente registratore acceso nella tasca, con tanto di polizia nascosta e pronta a uscire dopo la confessione, pronti a mandare in galera i cattivi che gridano vendetta. Certo, si può dire che è interpretato bene, ma il buon Clooney un personaggio così lo fa ad occhi chiusi, se permettete.
L’impressione è che Gilroy, quella famosa volta che Hitchcock spiegava la prima regola base della suspance, dormiva talmente della grossa che si è risvegliato solo qualche mese fa: perchè se no, il motivo di un film così malfatto e in ritardo sui tempi proprio non si trova. E a quel punto meglio consigliare al buon Gilroy una ripassatina della storia del cinema, magari consigliadogli proprio un capolavoro di quel maestro che non voleva ascoltare; e noi con lui, che almeno, dopo Michael Clayton, ci si rifà un po’ gli occhi.
Lorenzo Conte