Recensione di Un Gelido Inverno – Winter’s Bone
C’è un’america da sogno: quella fatta dalle luci di Las Vegas e il caos delle grandi metropoli come Los Angeles o New York. E poi c’è un’altra america: quella delle province, dimenticata da tutto e tutti, dove la desolazione e il nulla la fanno da padrone, dove la legge non esiste perché è impossibile raggiungere quei luoghi. È proprio quest’ultima america quella che racconta la registra Debra Granik in “Un Gelido Inverno – Winter’s Bone”, ambientato interamente negli altopiani di Ozark nel Missouri Occidentale e tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Woodrell.
Ree Dolly, la candidata all’Oscar come Miglior Attrice Protagonista, ha diciassette anni e si avventura nella pericolosa ricerca del padre, uno spacciatore e produttore di anfetamine misteriosamente scomparso. Ritrovare il padre è un imperativo per la giovane ragazza, dato che deve prendersi cura della madre psicopatica e di due fratellini piccoli. La sua spada di Damocle è l’ipoteca che il padre ha imposto sulla casa e la proprietà per pagarsi la cauzione per uscire di prigione.
Così comincia un viaggio per Ree che porta lo spettatore ad addentrarsi tra i boschi, che però non hanno nulla di meraviglioso, ma somigliano più ad un incubo; una fiaba dark insomma che cerca di portare alla luce la vera cultura americana, quella drammatica e dolorosa che quasi mai è mostrata nell’immaginario televisivo.
La macchina da presa della regista si muove con maestria in questi luoghi desolati, in uno stile, che potremmo definire, indipendente, anche considerato che tutta la pellicola è interamente girata con una camera RED, che per la Granik è l’acronimo di “Really Escute Dreams” (riuscire a realizzare i sogni).
Quello che si nota è che in questa storia drammatica, tra droga e guerre di bande, ad uscire rinforzate sono solo le donne. Il punto di vista in questa storia drammatica è interamente femminile; storia, in cui gli uomini creano i guai e le donne devono in qualche modo riuscire a cavarsela da sole, sia che esse siano giovani sia che siano anziane.
Infine i soliti strafalcioni della traduzione italiana, non permettono allo spettatore di godersi il vero senso del titolo originale. “Winter’s Bone”, titolo originale, si riferisce da un lato ai resti umani e dall’altro al denaro che permette di vivere: ovviamente nulla di questo può essere colto da “Gelido inverno”. Da vedere!
Davide Monastra