Recensione di: King Kong (2005)
A New York, nel 1933, il regista Carl Denham convince l’ attrice Ann Darrow a seguirlo in un viaggio via nave per un nuovo progetto cinematografico. L’ uomo in realtà vuole sfruttare come location la misteriosa isola di Skull Island, dove troverà molto più di quello che cerca. Remake nonché costosissimo omaggio al mitico classico del 1933, è un film fanta-avventuroso che non merita le critiche ingenerose ricevute nel nostro paese , dal momento che i suoi innegabili difetti sono quasi sempre la conseguenza delle sue gustose qualità. Dimenticando lo scialbo primo rifacimento del 1976, Peter Jackson concretizza un personalissimo atto d’ amore verso quella prima storica pellicola in b/n e ne riprende molti aspetti adattandoli alle nuove possibilità tecniche del cinema del 2005; il tutto portando tanto a fondo il suo proposito da ottenere un prodotto si attraente per molti ma inevitabilmente non adatto a tutti. Il numero quasi eccessivo di dinosauri e creature mostruose esibite durante la lunga parte ambientata sull’ isola (ecco una delle principali obiezioni rivolte al film) riprende in realtà la stessa “abbondanza” che ci offre la pellicola del ’33 e sostituisce semplicemente la cara vecchia stop-motion con gli effetti speciali di inizio XXI secolo. Viene persino “resuscitata” l’ unica sequenza dell’ originale purtroppo considerata perduta, quella dei ragni giganti che divorano i personaggi caduti in una fossa (anche se ovviamente rielaborata in forme ancor più spettacolari). Notevole come il regista riproponga, come e meglio che nella trilogia di “Lord of the rings,” la sua passione horror di inizio carriera e metta in risalto ad arte gli aspetti spaventosi dell’ ambiente selvaggio in cui si muovono i protagonisti. Da segnalare in questo senso la rappresentazione mefistofelica degli indigeni o il macabro luogo dove Kong si scatena sulle vittime dei sacrifici. Risalta inoltre come lo stesso scimmione sia realizzato con una veridicità impressionante e sfoggi una varietà espressiva simile a quella del predecessore anni ’30. Riguardo la parte ambientata nel mondo civile, mentre l’ inizio descrittivo ci introduce mirabilmente nelle atmosfere dell’ epoca, la parte finale prende un po’ troppo la piega del catastrofico spinto, rischiando di soffocare il fondamentale e complesso rapporto fra la Bella e la Bestia. Il risultato complessivo, sebbene sia lontano dalla perfezione e possa risultare a tratti stucchevole o ripetitivo nel suo insistito gigantismo, è nonostante tutto memorabile per gli appassionati del genere. Da godere, se possibile, sul grande schermo.