Recensione di: Parla con lei
Pedro Almodovar è uno di quei registi a cui si concede di andare oltre: oltre le regole, oltre la morale, oltre le convenzioni, oltre lo status quo della società. Questa è una caratteristica che non tutti si possono permettere, forse solo i più grandi autori.
“Parla con lei” è forse il film capolavoro del regista spagnolo. Una storia forte, ai limiti dello shock. I sentimenti in questa pellicola si intrecciano così come le varie storie e lo spettatore entra in empatia con ogni singolo personaggio, riuscendo a perdonare tutto, dalle azioni più folli, a quelle più esasperate.
Raccontare la trama è quasi impossibile. Sì, è vero che c’è una storia principale, ma i sub plot sono talmente tanti e così ricchi di bellezza che si rischierebbe di rovinare tutta la poesia del film con troppe parole inadeguate. I temi si susseguono uno dietro l’altro: la solitudine umana, il ricordo, l’amore, l’indecifrabile futuro… il tutto raccontato con maestria, in situazioni e dialoghi paradossali. Le due protagoniste sono in coma, quindi in pratica agiscono e comunicano senza parole, con il loro corpo esanime.
“Parla con me” è un decalogo di sceneggiatura, regia, montaggio. Tutto procede con un denominatore comune: la follia umana, dunque il tutto è giocato sul filo del rasoio. Bastava una piccola sbavatura per rendere la pellicola retorica, ma Almodovar è un vero regista e non fa errori.
Ciò che piace della pellicola, agli spettatori più aperti mentalmente, è che non si può condannare nessuno, perché tutti i personaggi agiscono per una determinata motivazione, che spinge l’osservatore a quel perdono misericordioso, che la Chiesa Cattolica ogni tanto dimentica. Non è un film provocatorio, anche perché alla fine chi sbaglia, paga.
La critiche al massimo vanno fatte tutte ad Almodovar perché dopo “Parla con lei” non è più riuscito a dimostrare più la sua grandezza, regalando al suo pubblico pellicole di serie B.
Davide Monastra