Recensione di: I Ragazzi Stanno Bene
Jules e Nik sono una coppia lesbica, si amano e vivono insieme felici con tanto di figli partoriti grazie all’inseminazione artificiale. Quando i due ragazzini, un maschio e una femmina, decidono di rintracciare il loro padre biologico, scoprono che si tratta di un simpatico ristoratore di nome Paul. Qualcosa cambierà nella vita di ognuno di loro. Una commedia sentimentale deliziosa, diretta con stile asciutto ed umorismo pungente. La spigliata regia di Lisa Chodolenko sviluppa il non facile tema centrale con una leggerezza invidiabile, schivando le trappole della volgarità gratuita e regalando allo spettatore 100 minuti di spasso senza quasi mai un segno di stanchezza. Nessun sensazionalismo, nessun pregiudizio verso i personaggi, la pellicola si limita a constatare l’evoluzione del concetto di “famiglia” e lo fa con una vicenda in fondo plausibile, dove anche l’originalità è fieramente slegata dal concetto di “anormalità”. E’ ammirevole come la regista fotografi questa nuova realtà in un’ottica libera e serena, utilizzando la diversità del contesto semplicemente come arricchimento rispetto agli spunti comici e drammatici che si potrebbero trarre da una situazione ordinaria. Nel suo rifiutare a prescindere il moralismo e gli stereotipi, il film diverte facendo riflettere. Il rapporto fra le due protagoniste, tenero ed appassionato come solo nelle più solide coppie eterosessuali, si nutre del comune affetto verso i propri figli e sembra dimostrare che l’accettazione dei valori familiari non deve passare necessariamente per una visione omologata di quei principi. Quella di Jules e Nik è una famiglia unita come tante altre, mentalmente più aperta ma in difficoltà come qualsiasi nucleo tradizionale quando il cambiamento irrompe nel suo mondo. Il realismo dell’approccio alla materia esclude comunque qualsiasi melensaggine o facile ottimismo, come si nota nel finale, con una conclusione aperta ma non fintamente consolatoria. La storia, insomma, non pretende di rassicurare i conservatori ostili ai cambiamenti sociali, ma se non altro può rendere quella parte di pubblico più rilassata e meno affrettata nel trarre conclusioni. Oltre alla sceneggiatura, infarcita di dialoghi frizzanti e spiritosi, l’asso nella manica del film sta sicuramente in un cast strepitoso. Il duo Bening/Moore è in forma eccellente, e si immedesima nelle due protagoniste facendole letteralmente vivere sullo schermo, in un vivace connubio di ironia e dolcezza. Sorprendente anche la spontaneità dei due giovanissimi, promesse del cinema che mantengono le aspettative, nonchè la duttilità di Mark Ruffalo su un personaggio maschile sensibile ma non fragile. Un altro punto di forza è la scelta di una fotografia sporca in 35mm, simil-documentaristica, che rimanda ai colori “ruspanti” di certo cinema anni ’60 e ’70. Questo conferisce alla fruizione una dimensione di veridicità e di immediatezza simile alla presa diretta, difficile da non smarrire nel doppiaggio italiano. E a proposito di edizione italiana, si spera di scampare il possibile odioso “v.m. 14 anni” (se entrasse in vigore quel discusso “v.m. 10 anni”, lo inaugurassero in questa occasione).