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Recensione di: Sotto il vestito niente – L’ultima sfilata

Puntuali come un orologio nella produzione di commedie natalizie, i fratelli Vanzina (nella fattispecie Carlo alla regia ed Enrico alla sceneggiatura), non contenti del pieno che fanno in questo particolare periodo dell’anno cinematografico (alcuni sostengono che non è un vero Natale se non c’è un film dei Vanzina!), buttano nel calderone delle uscite di metà anno un thriller di genere, sulle orme di quel “Sotto il vestito niente” del 1985 che concesse al duo di cimentarsi per la prima volta con il giallo. Se diamo per appurato il fatto che il film precedente (che ha visto pure un seguito ne “Sotto il vestito niente 2” del 1988 e diretto da Dario Piana) fosse un chiaro esempio di cinema anni Ottanta, con tutte le sue opinabili difficoltà stilistiche e tecniche, ma pur sempre “cult”, non è assolutamente chiaro il motivo per cui a ventisei anni di distanza siamo costretti a sorbirci le stesse ambientazioni e contesti che, senza esagerazioni, sono completamente cambiati. Milano non è più “da bere” come citava il famoso spot dell’Amaro Ramazzotti, e allo stesso modo il cinema ha fatto quel balzo in avanti dal quale difficilmente si possa tornare indietro, a meno che tu non sia Quentin Tarantino e lo faccia con geniale innovazione. Al limite del comico, infatti, si notino gli effetti speciali durante gli omicidi, nella migliore scuola del primissimo Dario Argento, ma tremendamente datati se visti al giorno d’oggi. Parossistico è il modo di recitare degli interpreti, che ricordano sovente allo spettatore la più bieca soap-opera del primo pomeriggio televisivo. Deludente persino la performance di Francesco Montanari che, svestiti i panni de “Il Libanese” in “Romanzo criminale – La serie”, esprime l’altra faccia della legge interpretando un poco credibile ispettore siciliano, con l’ulteriore aggravante di avere nel copione gag comiche scontate con il proprio vice. Quello che dovrebbe essere un giallo, finisce col far scaturire risate amare per l’ovvietà di dialoghi e situazioni, nonché di inquadrature drammaticamente retrò, senza trascurare il fatto che, con una semplicità disarmante, nei primi quattro minuti del film si intuisce subito chi è l’assassino. Forse c’è qualcosa che non và?

Serena Guidoni

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