Recensione di “Non lasciarmi”
La pellicola racconta la storia di Kathy, Ruth e Tommy, partendo dall’infanzia trascorsa nel collegio di Hailsham, attraversando l’adolescenza, fino ad arrivare ai trent’anni d’età. Il tutto affrontato con la consapevolezza che il loro scopo nella vita è donare gli organi. Infatti, a rivelare l’arcano destino, nel mezzo di una lezione,sarà un anticonformista e ribelle insegnante con la voglia di rendere questi ragazzi consci di ciò che li aspetta.
Da quel momento in poi per tutto il film si aspetta una reazione, una ribellione da parte di questi predestinati, che però tarda ad arrivare, e che, anzi forse, è volutamente celata all’interno della loro storia.
La freddezza con cui vengono raccontati questi avvenimenti è a dir poco disarmante: non c’è un pianto disperato che faccia intuire la necessità del bisogno di vivere, di come a tutti debba essere data la propria occasione, il proprio posto. Il loro ruolo è esemplificato nella funzionalità che sono chiamati a ricoprire.
La pellicola è tratta dal libro omonimo di Kazuo Ishiguro, che ambienta questa storia in irreali anni ’80-’90, in cui si cerca si rappresenta un mondo libero dalle peggiori malattie, come la sclerosi multipla, il cancro e le malattie genetiche, giunti a questo grazie, appunto, ai donatori di organi. Il tutto legalizzato dallo Stato con l’opinione pubblica favorevole, poco importa che per riuscirci sia stata tolta la vita a delle persone, trattate come carne da macello, merce di scambio. Per il progresso si fa questo ed altro.
La linea registica è molto ben strutturata, lineare e pulita, arricchita da un’ottima fotografia, che rispecchia il pensiero e lo stato d’animo dei bravissimi personaggi, Carey Mulligan, Keira Knightley, Andrew Garfield. Un sole che non scalda, una luce opaca, fredda, triste, la campagna, le fontane, i colori grigi, tonalità scure, marrone, nero, verde bottiglia. E poi il mare, un’acqua blu, in contrasto con la spiaggia vellutata e rosata, che accompagna lo spettatore fin dentro la storia, poiché, se è vero che le emozioni sono celate e tutto è poco esternato, i contorni, i luoghi e i colori riescono a rendere l’idea e le sensazioni di quello che provano realmente questi ragazzi. Se la vera rivolta dei protagonisti risiede nell’accettazione del proprio destino, nella voglia di amarsi, anche solo per un rinvio di qualche anno, se la loro freddezza è la loro forza, se l’intento del regista era quello di tramutare la reazione degli interpreti nella rassegnazione, nel doveroso rispetto della loro creazione, allora c’è riuscito: non c’è empatia con la storia raccontata, ma solo tanta perplessità.
Serena Guidoni