Recensione di: Vacanze Romane
Nonostante Roma sia la capitale del cinema neorealista, in quei magici anni per il cinema italiano, le grandi produzioni americane si accorgono della magia e del fascino della città eterna. Comincia così il periodo di Hollywood sul Tevere e “Vacanze Romane” firmato William Wylder è il capolavoro che trasforma la “città aperta” rosselliniana in una romantica metropoli da mille e una notte, anche grazie ai due immortali protagonisti: Audrey Hepburn e Gregory peck.
La principessa Anna è in visita a Roma, ultima tappa di un tour attraverso le maggiori capitali europee. Qui ha un piccolo esaurimento nervoso che la spingono ad allontanarsi volontariamente dal mondo patinato dell’aristocrazia per vagare, da semi-sconosciuta, per la città. L’incontro con il reporter americano Joe Bradley, che non la riconosce, avviene ai Fori imperiali, dove la bella Anna si è sdraiata. Da questo momento assistiamo ad una sceneggiatura limpida, fresca, delicata, con una recitazione talmente naturale da spiazzare anche gli spettatori più scettici.
Giovando per i luoghi più belli e suggestivi di Roma, il regista ci racconta una favola capovolta di una Cenerentola moderna, che renderà la bella attrice americana, fino ad allora praticamente sconosciuta, un’icona di stile e di glamour. L’errore che spesso si compie è quello di considerare Vacanze romane una semplice commedia romantica. C’è alle spalle di tutto il lavoro un’ottima e raffinata sceneggiatura, accurata nel rendere naturali ed umani i due protagonisti, e soprattutto una calcolata regia che calcola e calibra ogni piccolo dettaglio. I tre oscar (miglior attrice, miglior soggetto, migliori costumi) sanciscono l’immortale fascino di questa pellicola.
Davide Monastra