Recensione di: L’uomo senza passato
Perdere la memoria può non essere così drammatico; anzi, può persino trasformarsi nell’occasione per costruirsi una nuova vita in cui realizzare i propri sogni. L’importante, però, è non perdere mai la dignità.
Come al solito nelle opere di Kaurismäki, ogni elemento narrativo rimanda alla profonda ed inesorabile solitudine cui sono condannati gli uomini: colori smorti, ambientazioni asettiche, recitazione sottotono, dialoghi essenziali. Tanta rarefazione costringe ad assistere quasi ipnotizzati alle vicende di M., che bastonato e ridotto in fin di vita, riesce comunque a sopravvivere pur perdendo la memoria; e che, tra vicissitudini varie, scoprirà il vero significato dell’amicizia e dell’amore.
Emarginazione e decadenza sconfitte dai sentimenti di un uomo senza passato, e dunque assolutamente puro ed autentico: Aki Kaurismäki si affeziona al proprio personaggio. Riuscendo così, forse per la prima volta, ad emozionarsi/emozionare veramente. Inevitabile trionfo al Festival di Cannes, e definitiva consacrazione del regista finlandese tra i grandi maestri del cinema.
Mirko Medini