Recensione di: A Dangerous Method
Grande attesa a Venezia per il ritorno alla regia di David Cronenberg con il suo “A Dangerous Method”. Nato da una piece teatrale di Cristopher Hampton, il film esplora da vicino tre grandi e complesse personalità, i cui destini e le cui relazioni sono indissolubilmente legati alla rivoluzione psicanalitica del ventesimo secolo: tre personalità forti che tentano di trovare un riscontro, nel complesso intrecciarsi dei loro rapporti, alle teorie da loro elaborate. Zurigo, 1904. Il giovane e brillante psichiatra Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) si trova a dover curare una singolare paziente, la giovane russa Sabina Spielrein (Keira Knightley), diciotto anni, condizione sociale agiata e una storia di umiliazioni e violenze familiari alle spalle. La ragazza è affetta da una grave forma di isteria che le provoca comportamenti aggressivi e a volte violenti, ma ha anche una mente brillante, parla fluentemente il tedesco ed è intenzionata ad intraprendere a sua volta la carriera medica nel campo psichiatrico. Nel frattempo, le rivoluzionarie idee di Sigmund Freud (Viggo Mortensen) stanno prendendo sempre più piede nel mondo della psichiatria, e lo stesso Jung, seguace delle teorie del medico austriaco, decide di applicare il suo metodo su Sabina. La ragazza migliora sensibilmente, ma intreccia anche una pericolosa relazione con il giovane psichiatra, mentre quest’ultimo, sempre più convinto che le teorie del suo maestro sul legame tra sessualità e disturbi emotivi siano insufficienti per spiegare la genesi di questi ultimi, inizia con questi un rapporto di amicizia prima epistolare, poi personale. Ma l’intreccio del sempre più intenso rapporto di Jung con Sabina, e della sua stimolante amicizia con Freud, porterà a conseguenze imprevedibili, ed emotivamente devastanti, per tutti e tre i soggetti coinvolti. Il film offre a Cronenberg lo spunto per poter ancora una volta, scegliendo un soggetto classico, indagare i contorti percorsi della mente umana. Il regista, continuando coerentemente un discorso già intrapreso nei suoi ultimi film (Spider, A History of Violence e La Promessa dell’assassino) affronta temi a lui cari quali quello della mutazione, tutta interna alla psiche umana; il binomio amore-morte e le pulsioni sessuali che spesso sfociano in istinti autodistruttivi. Tali temi vengono trattati con estrema asciuttezza e privati di qualsiasi spettacolarità filmica come nella piece originale, solo a tratti infatti la regia si concede scene visivamente più forti (vedi gli incontri clandestini dei due amanti). I personaggi sono nel complesso ben caratterizzati e supportati da prove attoriali brillanti ed emotivamente intense.
Sara D’Agostino