Cafe’ de flore – Recensione

Jean-Marc Vallée, il geniale regista di C.R.A.Z.Y. ci regala un’altra bellissima e coinvolgente stroria, “Cafè de flore”. Presentato nella sezione Giornate degli autori, il film racconta attraverso un controverso e sorprendente intreccio filmico, il sentimento dell’amore. Che sia l’amore per un figlio, quello per un’amica, per il proprio uomo, per i figli, per la passione dell’anima gemella, “Cafè de flore” analizza e racconta tutti i tipi di amore e le relative conseguenze delle azioni in una miriade di sensazioni ed emozioni forti. Il regista ha unito la storia di un dj, Antoine Godin (Kevin Parent), che sta vivendo un doloroso divorzio, la sua nuova e totale storia d’amore con Rose e, con un salto temporale nella Parigi di fine anni ’60, ci racconta di Jacqueline (Vanessa Paradis) e del rapporto con suo figlio, affetto dalla sindrome di down.
La pellicola inizia subito in maniera forte, con immagini e musica che colpiscono lo spettatore e lo portano a chiedersi quanto dolore e quanta malinconia ci sia nei protagonisti, l’abbandono, l’amore, sono sentimenti tangibili e personificabili, si resta inermi e coinvolti nello scoprire cosa abbiano da raccontare e in che modo, e quale canzone useranno per dirlo.
Perché proprio la musica è uno degli elementi fondamenti della storia, infatti il titolo del film, nonchè tema ipnotico e ricorrente, è una canzone di Matthew Herbert, dalla quale si parte per dare il via ad un’ottima colonna sonora, che accompagna ed enfatizza ogni scena, dai Pink Floyd, Sigur Ros a Led Zeppelin.
Un film non lineare quindi, ma destrutturato, che rischiava di rendere difficile il coinvolgimento dello spettatore, che, al contrario, si sente catturato e inglobato nel flusso di suggestioni contrastanti in cui dolore e amore si susseguono senza sosta. Forse l’unica nota stonata come già accaduto in “C.R.A.Z.Y.”, è il voler inserire troppo all’interno della storia, temendo di non riuscire a concretizzare un filo conduttore. Fortunatamente il montaggio, effettuato dal regista stesso e durato ben ventidue settimane, anche se apparentemente senza logica, è in verità il punto di forza di tutto il film, in cui di nuovo al centro dell’opera c’è l’individualità, ma anche la fatica nel ritrovarsi e il potere di un’anima gemella.
Sonia Serafini