Carnage – Recensione – Un film da vedere più volte
Probabilmente, Roman Polanski era il regista più indicato a trasformare in immagini la piéce teatrale “Il dio del massacro” di Yasmine Reeza. E non solo perché tra i grandi maestri in circolazione Polanski è quello con l’animo più teatrale, ma anche perché, a ben vedere, la presenza di protagonisti in spazi chiusi ed angusti è una delle caratteristiche ricorrenti di tutto il suo cinema fin dai tempi del folgorante esordio “Il coltello nell’acqua”. Se in “L’uomo nell’ombra” tale spazio circoscritto era rappresentato da un’isola, e ne “Il Pianista” da un ghetto, tanto per fare due esempi recenti, qui il luogo scelto diviene se possibile ancor più claustrofobico: un appartamento, anzi il salotto di un appartamento newyorkese tipicamente middle class.
La storia è assai semplice: due coppie di genitori si incontrano a casa di una delle due per risolvere in maniera civile, come si conviene, il litigio tra i rispettivi figli in cui uno ha perso due denti a causa di una bastonata data dall’altro. A dire il vero, il film inizia mostrandoci l’accordo amichevole raggiunto tra le due coppie. Tutto sembrerebbe finito, dunque, ma i formalismi borghesi impongono l’offerta di torta e caffè. Un invito all’apparenza innocuo, che porta però le coppie a riaprire la discussione e che le trascina in un duello verbale che da caustico e sottile diviene sempre più volgare e diretto. Pian piano la compostezza dei modi viene meno, facendo emergere il vero carattere di personaggi troppo diversi tra loro – non solo sul piano caratteriale ma anche su quello sociale – ed in senso lato rivelando la vera natura dell’uomo. Si sviluppa così uno scontro su molteplici livelli (uomo/donna, cinico/idealista, alto borghese/medio borghese), all’interno del quale si creano improvvise ed inaspettate alleanze, magari dettate dalla comune passione per un buon whisky scozzese.
Certo, il tema dell’ipocrisia e della normalità fasulla della borghesia dietro le quali si nascondono infelicità e frustrazioni non è nuovo, anzi. A fare di Carnage un (quasi)capolavoro sono perciò il sorprendente uso dello spazio (merito di un montaggio che dà ritmo all’azione nonostante questa si svolga tutta in un unico ambiente), il rigore formale della regia, la brillantezza dei dialoghi e soprattutto un quartetto di attori in forma strepitosa. E se si è fatto un gran parlare a Venezia della meravigliosa prova di Kate Winslet (indiscutibile), sento il dovere di sottolineare la gigionesca performance di John C. Reilly, il cui personaggio vive la trasformazione più evidente e spassosa. Si, perché al di là dei temi trattati e di quel che vuol essere la morale, Carnage è anche e soprattutto un’opera divertente, capace di strappare risate vere grazie ad una serie di gag e sequenze la cui scorrettezza politica risulta avere anche un salutare effetto liberatorio.
Grandissimo film, confezionato in maniera impeccabile, stilisticamente perfetto ma non per questo asettico, da vedere più di una volta perché alcune battute meritano veramente di essere imparate a memoria. Ma va detto che è dai tempi de “La Nona Porta” che Polanski non sbaglia più un colpo. Per la gioia di tutti i cinefili.
Mirko Medini