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Arrietty – Recensione

Basato sui racconti dell’ inglese Mary Norton e co-sceneggiato da Hayao Miyazaki, il film segna il debutto alla regia di Hiromasa Yonebayashi. Sotto il pavimento di una grande casa, alla periferia di Tokyo, vive assieme ai suoi genitori una curiosa e vivace ragazzina in miniatura di nome Arrietty. Non sono gnomi ma “prendinprestito” (prima traduzione italiana decente del termine “borrowers”), persone alte 10 cm. che vivono sottraendo impercettibilmente agli umani piccoli oggetti o frammenti di cibo. Quando Sho, un bambino malato di cuore, si trasferisce nell’abitazione, Arrietty contravviene alle raccomandazioni ed entra in contatto con lui. Sembra quasi anacronistico, nel 2011, un lungometraggio d’animazione così delicatamente poetico, sottovoce, in cui sentimenti e passioni traspaiono da una morbida ed avvolgente semplicità. Ritroviamo temi e suggestioni ricorrenti nelle opere dello Studio Ghibli, riprese in parte dalla produzione di Miyazaki ed in altri aspetti da quella di Takahata: il ruolo centrale della Natura, il valore delle piccole cose, l’importanza della libertà e dell’impegno nel difenderla, la lotta di una minoranza non umana e non capitalistica per tutelare se stessa e la propria visione dell’esistenza. Come già nel meraviglioso “Totoro” (1988), anche in “Arrietty” le sensazioni hanno la priorità sulle forti emozioni; la messinscena è costruita innanzitutto per immergere lo spettatore in un mondo incantato che incorpora con gentile armonia il fantastico nella componente realistica. Per questo l’apparente lentezza della vicenda è piuttosto la scelta di un ritmo “in tempo reale”, allo scopo di lasciar parlare le immagini. La regia catalizza l’attenzione attraverso i suoni ed i gesti, il ricorso ad espedienti come la soggettiva o il piano sequenza, le piccole invenzioni disseminate qui e là. Una fiaba dove avventura e tenerezza vanno a braccetto, accompagnate da musiche (della francese Cècile Korbel) che spaziano da melodie di impronta nord-europea fino all’orientale ed al medio-orientale. E la protagonista è una figura femminile deliziosa, caratterizzata con accattivante dolcezza. L’unica perplessità deriva dall’edizione italiana di Gualtiero Cannarsi, il quale si conferma tanto valido nel dirigere i doppiatori giovani quanto discutibilmente ricercato nell’adattamento dei dialoghi. Adattissimo a tutti, può fare la gioia delle bambine.

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