Recensione di: Il mio domani
Monica (Claudia Gerini), donna manager dedita a grafici e nuove strategie per le risorse umane, decide di mettere in discussione il precario equilibrio costruito intorno al lavoro e agli affetti, in una Milano antonioniana . Ha una relazione con Vittorio (Paolo Pierobon), il presidente della società per cui lavora e dal quale avverte un distacco crescente, e un conflittuale rapporto che la lega alla sorellastra Simona (Claudia Coli) e al padre (Raffaele Pisu). La donna è spinta, forse da un celato desiderio di riparazione, ad aiutare il nipote Roberto (Enrico Bosco), uno schivo diciassettenne. Frequenta un seminario sull’autoritratto fotografico dove conosce Lorenzo (Lino Guanciale), con il quale vive una breve relazione, che non riesce tuttavia a distogliere Monica dalle sue inquietudini. A questo punto della sua vita, deve fare i conti con il passato. La morte del padre, malato da tempo, le offrirà la possibilità di una rinascita. Potrà così trovare il coraggio di affrontare il sentimento di abbandono e tradimento che prova per Vittorio e la disillusione per aver creduto in un lavoro che ora scopre pieno di ambiguità e inganni. Marina Spada, sceneggiatrice, produttrice e regista ha esordito nel cinema nel 2002 con Forza Cani, ambientato nella periferia milanese, con budget raccolto a sottoscrizione su internet. Ma è nel 2009 che con Poesia, documentario sulla poetessa Antonia Pozzi, morta suicida a 26 anni nel 1938, che la Spada raggiunge quella maturità intellettuale e registica che ha portato il suo film, Il mio domani, in Concorso alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Claudia Gerini con la sua interpretazione, tocca le corde più sensibili dello spettatore, sovente abituato a ridere “di lei” e con lei, e dimostra, in questo film, tutta la sua versatilità attoriale, tanto da essere una papale vincitrice del Premio Marc’Aurelio della Giuria alla migliore attrice. La regia sfida il cinema moderno, utilizzando uno stile “antiquato” fatto di pulizia dell’immagine e privo del minimo orpello e ciò, forse, è il gioco forza del film.
Serena Guidoni